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Woodvivors, l’Italia a Passo di Mulo. Alla Scoperta dei Mestieri Scomparsi

Woodvivors, l’Italia a Passo di Mulo. Alla Scoperta dei Mestieri Scomparsi
Woodvivors, l’Italia a Passo di Mulo. Alla Scoperta dei Mestieri Scomparsi

Woodvivors è un progetto nato nel 2016 da un’idea di Francesco Paolo Lanzino, un ragazzo nato e cresciuto a Palermo, che nel 2017 ha deciso di intraprendere un viaggio molto particolare. L’idea è quella di realizzare un docu-film naturalistico che vuole essere uno studio completo sull’anima rurale e più antica dell’Italia.

Necessaria a questo scopo, la campagna di crowdfunding di Woodvivors da poco lanciata. La campagna aiuterà a realizzare il film e il viaggio che Francesco Paolo farà. Il tutto con la speranza di preservare una realtà che sembra essere stata dimenticata. Un viaggio di 2500 km, di circa 6 mesi, a passo di mulo, percorrendo l’Italia dall’estremo sud della Sicilia attraverso l’anima appenninica e rurale del nostro Paese.

L’importanza di conservare una realtà che non fa parte soltanto del nostro passato, ma è fondamentale per il nostro stesso futuro. Molto spesso infatti, sentiamo parlare del vivere sostenibile. Della necessità più urgente che mai di cambiare le nostre abitudini per affrontare un’emergenza climatica come quella che stiamo vivendo. C’è chi pensa però, come Francesco Paolo, che un ritorno al sapere agricolo, a quello artigianale, degli antichi mestieri della nostra terra, sarebbe sufficiente.

Mestieri tanto importanti ma che oggi sembrerebbero destinati a sparire. Relegati a zone pressoché disabitate dell’Italia. E’ in questo senso che il progetto Woodvivors diventa davvero fondamentale. Un progetto che vuole portarci alla scoperta di antichi mestieri, ma soprattutto alla riscoperta delle nostre radici. Di quella che in fondo è la nostra identità culturale. Un film che vorrebbe lasciar traccia di una cultura che ancora esiste e che forse potrebbe essere riscoperta.

Noi di Green Planet News, siamo andati a chiedere di cosa si tratta all’ideatore di Woodvivors, Francesco Paolo Lanzino.

Francesco, che cos’è Woodvivors? Di cosa si tratta?

Noi di Woodvivors vorremmo condurre un’inchiesta sul campo; che nasca e cresca sul campo. Che parli della società contadina, ma soprattutto del fatto che fino agli anni ’50, ’70, nelle campagne e all’interno di un nucleo familiare, si era in grado di ‘fare le cose a mano’. Occuparsi ad esempio dell’orto, fare il pane, i salumi, ma anche costruirsi gli strumenti necessari per lavorare e non solo.

A un certo punto le campagne, soprattutto quelle meridionali, sono state abbandonate. I contadini hanno cominciato a spostarsi verso le città, come Torino, per lavorare nelle grandi fabbriche. E poiché la classe contadina non è mai stata padrona di mezzi di trasmissione come la scrittura, si tramandava tutto oralmente. Detto ciò, è facile capire come, con l’abbandono di queste zone e dunque, di questa trasmissione orale, in particolare negli ultimi 50 anni, sia stato possibile assistere alla scomparsa di certi mestieri come di certi dialetti.

E sta proprio qui il senso del mio viaggio. Vorrei, arrivando fino a Torino, condurre una ricerca sul campo per vedere cosa è realmente rimasto di queste tradizioni, attraverso lo strumento del video. Tanti sociologi e antropologi hanno scritto infatti su questo tema. Ma il mondo contadino ha sempre avuto difficoltà nell’esprimersi realmente. Il video vuole servire a questo. A far sì che si possano raccontare liberamente e in qualche modo a far sì che possano ancora tramandare.

Ed è un modo anche per permettere agli altri, oltre che a me, di accedere a momenti della loro quotidianità che altrimenti non sarebbero accessibili. Se stanno scomparendo, è proprio perché la classe contadina è stata considerata inferiore rispetto a quella consumistica, delle città. Con ciò, non voglio dire che sarebbe meglio un ritorno al passato.

Credo soltanto che quello che sta succedendo, senza che ce ne rendiamo conto, è che questi valori, tradizioni, culture, stanno ormai scomparendo per sempre con il totale disinteresse mediatico e polito. E sono convinto del fatto che non può esistere un futuro che non si basi sulle solide radici del passato.

Com’è nata l’idea? qual è l’esigenza che ti ha spinto a sviluppare questo studio?

Da quando sono piccolo parto a piedi, faccio trekking e tutto questo genere di attività incentrate sullo sport. Nel 2017 ho poi avuto l’occasione di prendermi del tempo in più per viaggiare. E ho deciso di partire con un mulo, nonostante non avessi assolutamente esperienza con questo animale. Già da allora c’era l’idea di arrivare fino a Torino e girare il film. Ma non è stato sin da subito possibile. Al terzo giorno di viaggio ho incontrato un uomo, un pastore.

Ed è stato un incontro che mi ha fatto riflettere. Parlando, il pastore ha cominciato a raccontarmi di lui, del fatto che non avesse mai studiato, che non fosse mai stato un gran studioso. Ma continuando ha citato l’Odissea, dicendo: “Polifemo faceva il ‘ricottaro’, il ‘pecoraro’. Un mestiere che con tutte le leggi che ci sono oggi, sarà impossibile fare ancora. Siamo rimasti noi ultimi perché lo facciamo da una vita, perché sappiamo fare questo. Ma oggi non c’è più un giovane ragazzo che prenderebbe questo mestiere.”

Quelle parole mi hanno fatto riflettere tanto. Sia perché dopo anni di studi, liceo, università, non avevo mai pensato all’Odissea da quel punto di vista. Ma anche perché mi son reso conto di quanto anche il mulo sia stato importante in tutto questo. Il catalizzatore di questi incontri. Si, perché il mulo, in questi contesti, diventa una ‘macchina del tempo’, capace di farti viaggiare e di farti ritrovare in discussioni e situazioni altrimenti non accessibili se non grazie a ciò che il mulo rappresenta nell’immaginario collettivo di queste persone.

Ecco perché la scelta del mulo. Ed è così che ho sentito l’esigenza di raccontare, preservando ciò che rimane di queste realtà. Parliamo di mestieri e culture, tradizioni che si son servite di migliaia di anni per perfezionare tecniche di lavoro o di costruzione di oggetti e macchinari. Tecniche che abbiamo miseramente abbandonato.

Qual è dunque l’importanza di conoscere certi mestieri e di non perdere questo sapere?

Innanzitutto, penso che sia una questione di identità culturale. Quello che siamo è anche frutto di ciò che dovremmo avere la possibilità di conoscere, partendo da ciò che siamo stati. In Italia abbiamo avuto la possibilità di svilupparci con diversità di dialetti, di culture, di architetture e così via, che per me è un qualcosa che ci rende unici.

Una varietà che non si può accostare a nessun altro Paese, neanche alla Francia a cui spesso veniamo accostati quando si parla di cibo o di allevamento. Spostandoci per l’Italia, anche per brevissimi tratti, cambiano dialetti, modi di cucinare, di parlare, i prodotti tipici.

È molto importante inoltre, conoscere certi mestieri per la stessa questione ambientale. Si parla tanto di sostenibilità quando la civiltà contadina è stata eco-sostenibile senza neanche saperlo. Basterebbe voltarsi per un attimo indietro e guardare a come prima si facevano le cose. Mangiare a km 0, ad esempio, non era mica cosa da ricchi. È un discorso che secondo me ha importanza a livello mediatico e politico. Mi chiedo infatti, quanto stia facendo lo Stato per questo settore che ora dovrebbe essere ricco.

Uno Stato che abbandona questi lavoratori. Abbiamo davvero distrutto questo settore, lo abbiamo ammazzato. Dovremmo ricominciare a valorizzare quello che abbiamo, il nostro patrimonio. A maggior ragione quello dei contadini che non sono mai stati presi in considerazione come realtà esistente, viva, forte e intrinseca alla nostra costituzione.

Mi piacerebbe che più giovani si approcciassero a questo mondo, a questi lavori. Ma ciò sarebbe possibile solo con delle Istituzioni presenti. Istituzioni che non ti abbandonano. Ma che ti sostengono nel mandare avanti un settore così importante.

Che cosa ti aspetti da questo progetto?

Ciò che mi aspetto da questo progetto, anche per quello che rappresenta, è proprio di riuscire ad entrare in confidenza con queste persone: artigiani, agricoltori, braccianti, che magari di solito sono schive e diffidenti, soprattutto nel raccontarsi. L’obiettivo è quello di girare il docu-film per raggiungere più persone possibili. Non solo testimoni della vita rurale che ancora esiste seppur dimenticata. Ma vorrei realizzare un prodotto capace di parlare a tutti!

Che in un certo senso possa anche creare un collegamento o un ponte tra uomini di città e uomini di campagna. Uomini che spesso sembrano troppo distanti tra loro per poter comunicare e che invece non lo sono poi così tanto. Mi piacerebbe molto fare da collegamento tra questi due mondi: il mondo delle città, dei social network, della comunicazione sfrenata con quello delle campagne, più silenzioso.

E che magari, avendo un’adeguata visibilità e trovando la chiave giusta per parlarne, potrebbe arrivare a fare virtù delle proprie condizioni. Questo è quello che mi auguro. Vogliamo costruire un futuro sostenibile che vada a braccetto con l’eredità che ci è stata affidata.

Francesco, alla luce di tutto questo, vorresti chiarirci l’importanza della campagna di crowdfunding?

La campagna sarà fondamentale per la realizzazione del film su cui stiamo lavorando. Si tratta di una cosa importante, con 6 mesi di riprese, una serie di spostamenti e spese da coprire non solo per me ma per tutto il team che con me lavora. In questo senso, si tratta di professionisti. Sono tutti ottimi professionisti tra i migliori in ciascun campo. Ci sono tutti i presupposti per fare un ottimo lavoro. Il viaggio è importante e soprattutto è importante parlare con queste persone, dar loro voce.

Ma vorremmo che questa voce la ascoltassero tutti o comunque, più persone possibili. Vorremmo condividere con chiunque lo volesse quest’esperienza. E per farlo sarà necessario produrre il film, che sarà lo strumento attraverso cui i contadini potranno esprimersi. Mi auguro insomma di riuscire a raggiungere la somma del crowdfunding per poter assicurare di girarlo. Sarebbe bello fare questa esperienza non solo per me, ma per tutti quanti.

Foto di: Enrico Collura

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