L’estate giusta. Per visitare Trieste in tutta la sua malinconica bellezza. La città che per eccellenza racchiude il simbolo di un multiculturalismo che ancora traspira dalle sue mura spesse, spesso pagato a caro prezzo
Volevamo visitarla da tempo per potervela raccontare. Trieste con la sua coltre di storia, Trieste arroccata nel suo mondo, crocevia di culture e simbolo di un “grande mondo antico”, Trieste che nel suo multiculturalismo ha sempre trovato la sua identità, granitica, ferma, colta. Non il multiculturalismo da ostentare nei salotti estivi, al fresco dei propri lazzi ma le tante culture che provengono da più mondi e che, come la storia ricorda, hanno finito molte volte per scontrarsi duramente prima di ritrovare pace.
Non a caso a Trieste troviamo il quartiere ebraico, la storia asburgica, la Mitteleuropa, il senso della frontiera e del mare con il suo ignoto, lo splendore di luoghi come il Castello di Miramare e le incarnazioni delle tragedie recenti come la risiera di San Saba e i vicini luoghi della guerra in Bosnia. Per visitare Trieste in due giorni, come abbiamo voluto fare, basta armarsi di un buon paio di scarpe, di acqua in abbondanza, soprattutti in questi giorni di agosto, e occhi attenti per ascoltare le voci che provengono dai vicoli e dal mare.
L’approdo
Il Museo Storico e il Parco del Castello di Miramare è un museo autonomo statale MiBAC. Situato nei pressi di Trieste, il Castello è la residenza voluta dall’arciduca Ferdinando Massimiliano d’Asburgo per abitarvi insieme alla consorte, la principessa Carlotta del Belgio. Una meraviglia tra arte e natura, un “luogo del cuore” per molti.
Aperto tutto l’anno ad esclusione di Natale e Capodanno, il Museo Storico e il Parco del Castello di Miramare è uno dei musei più visitati d’Italia. Il Parco che ha un’estensione di ben 22 ettari, è considerato un “luogo del cuore” per i cittadini di Trieste, che gli sono molto affezionati. Ad accesso gratuito, con oltre 830mila ingressi nel 2018, si colloca al terzo posto nella classifica dei luoghi della cultura più frequentati in Italia.
Noi ci arriviamo per mare. Prendiamo un romantico battello che risponde al nome di Delfino Verde e che in un paio di fermate, dal porto, quasi davanti alla splendida Piazza dell’Unità ci cui parleremo più avanti, vi conduce al castello e agli splendidi giardini che avvolgono la residenza asburgica. La “traversata” è breve. Meglio, perché il sole sulle nostre teste e una linguacciuta signora alle nostre spalle, con ostentazioni volutamente chic, non smette di parlare rendendo il breve tragitto quasi un viaggio della speranza. Quella di scendere il prima possibile e avere un evocativo silenzio, essenziale per ogni viaggio “colto” che si rispetti.
Il Castello di Miramare, costruito tra il 1856 e il 1860, è la testimonianza unica di una lussuosa dimora nobiliare con i suoi arredi interni originari. Viene progettato in simbiosi con il rigoglioso parco che lo circonda e con il contesto marino. Massimiliano vuole che da ogni finestra sia possibile vedere il mare, così da avere l’impressione di essere sempre a bordo di una nave. Anche la sua stanza da letto ricrea perfettamente l’ambiente che lui trova a bordo, durante i suoi numerosi viaggi fatti solcando le onde.
Il parco del castello
Il Parco del Castello di Miramare, con i suoi ventidue ettari di superficie, è il risultato dell’impegnativo intervento condotto nell’arco di molti anni da Massimiliano d’Asburgo sul promontorio roccioso di Grignano, che aveva in origine l’aspetto di una landa carsica quasi del tutto priva di vegetazione. Per la progettazione, Massimiliano si avvale dell’opera di Carl Junker, mentre per la parte botanica si rivolge inizialmente al giardiniere Josef Laube, sostituendolo in seguito con Anton Jelinek, già partecipante alla famosa spedizione della fregata “Novara” intorno al mondo. Grossi quantitativi di terreno vengono importati dalla Stiria e dalla Carinzia, e vivaisti soprattutto del Lombardo Veneto procurano una ricca varietà di essenze arboree e arbustive, moltissime delle quali di origine extraeuropea.
Il giardino, ricco di preziose specie botaniche, è un complesso capace di abbinare la natura con la mano sapiente dell’uomo. Lungo i percorsi si susseguono aiuole multicolori, sculture, alberi monumentali, fontane e laghetti. Il complesso gode di una posizione panoramica incantevole: si trova a picco sul mare, sulla punta del promontorio di Grignano. I profumi, i colori mediterranei e l’austera, abbagliante architettura si combinano in una sintesi sorprendente tra arte e natura. Dopo aver attraccato con il Delfino Verde alla base del parco, fermata appunto Grignano, inerpicarsi nei viottoli prima di arrivare al castello, è puro incanto. Nonostante il caldo di Ferragosto.
I lavori, avviati nella primavera del 1856, vengono seguiti costantemente da Massimiliano, che non smetterà di interessarsi al suo giardino anche una volta stabilitosi in Messico, da dove farà pervenire numerose piante. Nella zona est prevale la sistemazione “a bosco” che asseconda l’orografia del luogo: alberi alternati a spazi erbosi, sentieri tortuosi, gazebi e laghetti, ripropongono i dettami romantici del giardino paesistico inglese. La zona sud ovest, protetta dal vento, accoglie aree geometricamente impostate, come nel caso del giardino all’italiana antistante al “Kaffeehaus” o delle aiuole ben articolate intorno al porticciolo.
Il Parco di Miramare, che nelle intenzioni del committente doveva essere una stazione sperimentale di rimboschimento e di acclimatazione di specie botaniche rare, è un complesso insieme naturale e artificiale: in esso è possibile ancor oggi respirare un’atmosfera intrisa di significati strettamente legati alla vita di Massimiliano, e cogliere al contempo il rapporto con la natura che è proprio di un’epoca. Nel Parco si segnalano in particolare: le sculture prodotte dalla ditta berlinese Moritz Geiss; le serre, con vetrate che si aprono nell’originale struttura in ferro; la “casetta svizzera” ai margini del “Lago dei cigni”; il piccolo piazzale con i cannoni donati da Leopoldo I re dei Belgi; la cappella di San Canciano con un crocifisso scolpito con il legno della fregata “Novara”, dedicato nel 1900 a Massimiliano da suo fratello Ludovico Vittore.
Il Castello di Miramare
Il Castello di Miramare e il suo Parco sorgono per volontà dell’arciduca Massimiliano d’Asburgo che decide, attorno al 1855, di farsi costruire alla periferia di Trieste una residenza consona al proprio rango, affacciata sul mare e cinta da un esteso giardino. La posa della prima pietra del Castello avviene il primo marzo 1856. Alla Vigilia del Natale del 1860 Massimiliano e la consorte, Carlotta del Belgio, prendono alloggio al pianoterra dell’edificio, che a quella data presenta gli esterni del tutto completati, mentre gli interni lo sono solo parzialmente, in quanto il primo piano è ancora in fase di allestimento.
Il palazzo, progettato dall’ingegnere austriaco Carl Junker, si presenta in stile eclettico come professato dalla moda architettonica dell’epoca: modelli tratti dai periodi gotico, medievale e rinascimentale, si combinano in una sorprendente fusione, trovando diversi riscontri nelle dimore che all’epoca i nobili si facevano costruire in paesaggi alpestri sulle rive di laghi e fiumi.
Nel Castello di Miramare Massimiliano attua una sintesi perfetta tra natura e arte, profumi mediterranei e austere forme europee, ricreando uno scenario assolutamente unico grazie alla presenza del mare, che detta il colore azzurro delle tappezzerie del pianoterra del Castello, e ispira nomi e arredi di diversi ambienti. La realizzazione degli interni reca la firma degli artigiani Franz e Julius Hofmann: il pianoterra, destinato agli appartamenti privati di Massimiliano e Carlotta, ha un carattere intimo e familiare, il primo piano è invece quello di rappresentanza, riservato agli ospiti che non potevano non restare abbagliati dai sontuosi ornati istoriati di stemmi e dalle rosse tappezzerie con i simboli imperiali.
Il Colle di San Giusto, la cattedrale e una vista mozzafiato
Usciti dal castello, facciamo uno spuntino veloce (ristoranti e caffé non mancano nella zona) e ci dirigiamo verso un altro di quei luoghi simbolo di Trieste: il promontorio di San Giusto con la cattedrale, un’altura da cui è possibile passeggiare tra resti di antiche rovine contemplando il mare dall’alto. Dal castello di Miramare per arrivare a piazza dell’Unità con il bus numero 80 è un attimo. Per arrivare al promontorio, su suggerimento di Giulio dell’Hotel James Joyce di cui di dirò più avanti, prendiamo l’ascensore all’interno del Park San Giusto che è strategico per posteggiare in centro (numerose le convenzioni che vi faranno avere un ticket ridotto).
La Cattedrale di San Giusto è tra i più importanti edifici religiosi cattolici di Trieste e sorge sulla sommità dell’omonimo colle che domina la città. Il colle di San Giusto è il centro storico di Trieste. Già nel primo secolo vi si trovava una grande basilica civile romana, il che lascia presumere che sulla riva del mare sottostante esistesse già allora un abitato abbastanza grande. È situato come simbolo della città, sulla collina, la parte più antica di Trieste.
Non ci sono molti dati storici su questa chiesa che si presume andata demolita dalle incursioni barbare. Ciò che ne rimase, la parte posteriore e il campanile, fu utilizzato per ricavare una chiesa più piccola (cioè meno larga), consacrata a Santa Maria, Madre di Dio. Ma sono più che altro ricostruzioni storiche, dato che fino all’XI secolo non ci sono dati certi. Le uniche testimonianze sono i molti reperti archeologici, tra l’altro una pavimentazione musiva con pietre bianche rosse e nere, e un’iscrizione che testimonia il restauro della chiesetta avvenuto nel 547 per intervento del vescovo Frugifero, primo vescovo triestino conosciuto.
Storicamente parecchio più tardo è il sacello di san Giusto, costruito appositamente per contenere le reliquie del santo patrono della città. Gli storici non concordano sull’esatta data della sua costruzione, ma la pongono comunque entro il secolo X, ad eccezione della cupola che risale al secolo XII, ed ai mosaici interni attribuibili al secolo XIII. In data imprecisata la cappella viene allungata fino a diventare una chiesa vera e propria, ma sembra certo che ciononostante venisse sempre considerata facente parte della chiesa di Santa Maria che si trovava di fronte, dall’altra parte della strada principale della città.
La facciata a capanna è caratterizzata da un ampio rosone a doppia ruota, una statua di San Giusto, stemmi e un portale derivante dal taglio di una stele funeraria romana. Il campanile, a pianta quadrata, in origine era più alto, ma nel 1422, a seguito di un fulmine, la sua altezza venne ridotta a quella attuale.
L’interno offre interessanti tracce di pavimentazioni musive del V secolo davanti al presbiterio, mentre l’abside è decorata con mosaici moderni. Gli affreschi rappresentati la vita del Santo sono risalenti al XIII secolo.
L’aspetto attuale della Cattedrale deriva dall’unificazione delle due chiese preesistenti: la Chiesa di Santa Maria e la Chiesa dedicata al martire San Giusto, patrono della città di Trieste. L’unione viene fatta dall’allora vescovo Roberto Pedrazzani da Robecco tra il 1302 e 1320, dando così alla città una cattedrale maestosa. Nell’operazione di fusione una navata viene abbattuta. La pianta della Cattedrale diventa, così, a cinque navate.
Gli antichi reperti
I più antichi reperti archeologici sul colle di San Giusto sono i resti di un propileo (antico portale monumentale greco) risalente al primo secolo. I resti sono oggi visibili, attraverso una grata, inglobati nel campanile della cattedrale omonima. Il propileo fu eretto in cima all’allora principale strada cittadina (l’odierna via della Cattedrale) che saliva dalla riva del mare fino al punto più elevato della città.
Non è noto però che cosa si trovasse sulla sommità stessa del colle. Forse un tempio, oppure un complesso di templi, dedicati a Giove, Giunone e Minerva, smantellati durante i secoli. Le colonne oggi visibili nel campanile costituivano l’estremità anteriore sinistra del complesso, mentre si possono visitare i resti della parte destra e della scalinata che li collegava, scendendo sotto la chiesa attraverso l’adiacente Orto Lapidario.
Torniamo verso piazza dell’Unità, discendendo il colle tramite una scalinata che attraverse viuzze e piazzette e ci capita anche qualcosa di surreale. Giunti ad una di queste piazzetta, completamente deserta, da una finestra giunge a volume altissimo Il Cielo in una stanza cantata da Mina. Sembra di essere finiti negli anni Sessanta con un prodigio e ci aspettiamo da un momento all’altro di vedere le persone camminare per un’altra epoca.
Piazza dell’Unità
Piazza Unità d’Italia è la piazza principale di Trieste, situata ai piedi del colle di San Giusto, tra il Borgo Teresiano e Borgo Giuseppino. Di pianta rettangolare, su un’area totale di 12.280 metri quadri, si apre da un lato sul Golfo di Trieste ed è circondata da numerosi palazzi ed edifici pubblici, sedi di diversi enti: il municipio di Trieste, il palazzo della Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia e la prefettura del capoluogo.
Anticamente era chiamata Piazza San Pietro, dal nome di una chiesetta ivi esistente, poi nel 1863 cambiò nome in Piazza Grande. Durante il periodo austriaco il nome fu mutato in Piazza Francesco Giuseppe, dal nome dell’imperatore Francesco Giuseppe d’Austria. Assunse il nome di Piazza Unità nel 1918, quando la città fu annessa all’Italia. Nel 1955, allorché la città ritornò all’Italia con la dissoluzione del Territorio Libero di Trieste, prese la denominazione attuale, ovvero Piazza dell’Unità d’Italia.
Centro oggi della politica cittadina, la sua storia si collega a quella della Grande Guerra a partire dallo stesso nome.
Come accennato, dopo il 4 novembre del 1918 il nome venne cambiato in Piazza Unità per celebrare il passaggio al Regno d’Italia e la vegetazione fu sostituita da una pavimentazione in pietra e da due piloni in bronzo, inaugurati alla presenza del Duca Amedeo d’Aosta nel 1933. Alti sei metri, fanno da base ad un’antenna di 25 metri che si conclude con l’alabarda, il simbolo della città, mentre alla base lo scultore Attilio Selva ha realizzato quattro statue di autieri, i soldati assegnati ai servizi automobilistici.
Di fronte alla piazza si spinge sul Golfo di Trieste il Molo Audace, meta ideale per le passeggiate lungo le Rive. La costruzione risale alla metà del ‘700 ed era stato intitolato a San Carlo. Ma il 3 novembre 1918, a guerra oramai conclusa, il cacciatorpediniere italiano Audace raggiunse Trieste attraccando proprio su questo scalo e in onore di questo avvenimento il molo venne ribattezzato “Audace”.
Sulla Riva Caduti per l’italianità di Trieste infine, sempre di fronte alla piazza, sono presenti due statue di Fiorenzo Bacci. Una raffigura un bersagliere mentre sale le scale, in ricordo dell’arrivo di questo corpo militare nella città giuliana sempre in quel 3 novembre 1918. L’altra invece, intitolata “Le Ragazze di Trieste”, raffigura due figure femminili sedute sul muro mentre cuciono il tricolore. Entrambe le statue sono state poste nel 2004 in occasione del 50° anniversario del ritorno di Trieste all’Italia (dopo il periodo inter-alleato del Territorio Libero di Trieste, 1945 – 1954).
La piazza è stata rimodellata più volte nel corso dei secoli. L’aspetto attuale le deriva dalla ristrutturazione completa che l’ha interessata nel periodo 2001-2005, quando tutti i palazzi sono stati oggetto di restauro; la pavimentazione in asfalto è stata rimossa e sostituita con blocchi in pietra arenaria simili ai tradizionali “masegni” che anticamente lastricavano la piazza; la fontana dei Quattro Continenti è stata posizionata davanti all’ingresso principale del Municipio, riportandola nella sua locazione originaria.
Prima che nella piazza avessero inizio i lavori di risistemazione, l’allora giunta comunale pensò di sfruttare lo spazio disegnandovi un grande dipinto. Il disegno rappresentava l’Europa e Trieste, inserite in una porta ad arco orientale in cui erano indicati il Sol Levante, la Luna e delle stelle gialle su sfondo blu che richiamavano alla bandiera dell’Europa Unita.
La rappresentazione simbolica indicava una figura femminile armata di una lancia a forma di alabarda (simbolo di Trieste) in sella a un toro, mentre si dirigeva verso il mare. Opera dell’artista Bruno Chersicla, il disegno voleva significare la volontà della città di porsi come protagonista della Comunità Europea. Il dipinto, di oltre novemila metri quadrati, è stato riportato nel Guinness dei primati. Nel 2001 sono state aggiunte delle luci blu nella pavimentazione della piazza, per rimarcare il legame con il mare.
Dove mangiare e dove dormire a Trieste
Qui la scelta ricade senza alcun dubbio sull’Hotel di cui vi ho accennato all’inizio, l’Hotel James Joyce. Situato in pieno centro e a pochi metri dal Park San Giusto, dunque in posizione più che strategica, l’Hotel James Joyce di via dei Cavazzeni 7 è un luogo moderno ma che vi garantirà un’ospitalità d’altri tempi, classica, asburgica e di raffinatezza uniche. La gentilezza di Giulio e di tutte le persone con cui avrete la possibilità di interagire lascerà il segno perché tutti, dal primo all’ultimo, sono disponibili, attenti, di una cortesia che ritempra. L’albergo non sembra un tre stelle ma un dieci stelle (evitiamo di darne 5 per non farci confondere con altre stelle di ben altra foggia).
Noi alloggiamo in una camera a cui si accede, per l’ultimo tratto, attraverso una scalinata del Settecento. La camera sembra il rifugio ideale di uno scrittore soprattutto in viaggio). Vista sui tetti e sui vicoli di Trieste, silenzio assoluto, travi a vista e ogni tipo di comfort moderno. L’hotel è veramente un gioiello e Giulio, giovane ed elegante, sembra davvero rievocare James Joyce in tutta la sua aura colta e di un passato che conforta e sorride ad un mondo che cambia ma che non “contamina” troppo Trieste e le sue bellezze.
Numerosi i posti per mangiare che ci vengono segnalati con cura da Giulio. Su tutti Nero di Seppia e anche Malcanton, più caotico ma sempre valido. Tante le pietanze tipiche triestine da assaggiare. Non fatevi mancare le alici in saor e il fritto misto talmente variegate che pare di intravedere anche qui la ricchezza del multiculturalismo autentico.
A chiudere la cena, scopriamo un delizioso amaro di origine serbo-croata, il Pelinkovac, un liquore amaro a base di assenzio (croato-bosniaco e sloveno: pelen o pelin), popolare in Croazia, Serbia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Macedonia del Nord e Slovenia, dove è conosciuto come pelinkovec o pelinovec e dove viene prodotta da più di 150 anni. La gradazione alcolica è del 28–35%. Ha un sapore molto amaro, simile a quello dello Jägermeister. Badel Pelinkovac è stata la prima bevanda croata ad essere gustata alla corte di Napoleone III di Francia. Come dirà Paolo Rumiz, lo scrittore triestino più rappresentativo di tutto un mondo che profuma di Svevo, Saba, Joyce, “Trieste è un’Itaca perfetta”. Noi non la dimenticheremo.
Fonti
Foto: Germana Ferrante