Lo studio, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, è stato condotto in collaborazione con l’Università di Napoli, il Weizmann Istitute di Rehovot, Israele, e la University of California
Melanzana, l’ortaggio violaceo proveniente dall’Asia
La famiglia delle Solanacee include circa 2.700 specie di piante adattate ad ambienti molto diversi e coltivate per uso alimentare, usi medicinali o ricreativi e piante ornamentali.
Due le sottofamiglie che ne fanno parte: le Celastroidee e le Solanoidee. Fra i diversi generi appartenenti a quest’ultima, si annovera il Solanum, che comprende approssimativamente 1.500 specie, tra le quali tre colture di base: melanzana (S. melongena), pomodoro (S. lycopersicum) e patata (S. tuberosum).
“La melanzana è uno degli ortaggi più consumati al mondo e l’Italia ne è il principale produttore europeo. È stata domesticata oltre 2.000 anni fa in Asia e ha subito un “collo di bottiglia” genetico che ne ha ridotto la biodiversità e la resistenza a malattie e a stress ambientali” — chiarisce Sergio Lanteri, ordinario di Genetica agraria presso il Dipartimento di Scienze agrarie, forestali ed agroalimentari dell’Università di Torino.
Tuttavia, illustra ancora il professore, la decodifica del genoma ha già permesso di iniziare a esplorare il “pool” genetico della melanzana e potrà fornire un contributo al superamento di queste problematiche.
Diversità morfologica delle Solanaceae
“La sequenza genomica ha confermato che la grande diversità morfologica delle Solanacee si è generata partendo da un numero di geni molto simile (circa 35.000 in ognuna delle tre specie). Oltre alla melanzana più diffusa in Italia, la specie Solanum melongena, esistono in natura circa cinquanta specie affini, di cui alcune a rischio estinzione a causa dei cambiamenti climatici” — spiega Giovanni Giuliano, dirigente di ricerca della Divisione ENEA di Biotecnologie e agroindustria.
La ricerca
A dare comunicazione della scoperta, una nota ufficiale del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria. Gli scienziati hanno ricostruito i complementi cromosomici putativi dei fondatori chiave dei principali cladi delle Solanaceae e i riarrangiamenti che hanno portato ai cariotipi delle specie esistenti e dei loro antenati.
“La melanzana sequenziata (chiamata 67/3) è stata sviluppata dal CREA incrociando la varietà “Tunisina” della tipologia tipicamente italiana Violetta con una linea di origine asiatica, per correggerne il difetto della polpa soffice che assorbe parecchio olio in cottura. La progenie è stata poi continuamente selezionata per i 6 anni successivi, fino ad arrivare appunto alla 67/3, da cui abbiamo costituito numerose famiglie imparentate, che hanno permesso di poter ordinare correttamente le sequenze del genoma. Questo ci ha consentito di comprendere la base genetica di una serie di caratteri agronomici importanti, accelerando i programmi di miglioramento genetico, tramite marcatori molecolari associati ai geni di interesse. In particolare, ci siamo concentrati sui geni coinvolti nella colorazione e nella maturazione del frutto e nella resistenza a patogeni fungini” — dichiara Giuseppe Leonardo Rotino, dirigente di ricerca presso il CREA Genomica e Bionformatica.
“Il genoma è stato ottenuto tramite una combinazione di tecnologie di sequenziamento di ultima generazione e mappatura ottica. La qualità dei dati è elevatissima e testimonia quanto siano cresciute le competenze italiane nel campo della genomica” — commenta Massimo Delle donne, ordinario di Genetica presso il Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona.
Fonte: comunicato stampa CREA 12 settembre 2019 (http://creativecommons.org/licenses/by/3.0/it/legalcode)