Che cosa è il razzismo? Partiamo da una differenziazione fondamentale per ragionare su una risposta a questo concetto: il razzismo è un fenomeno sociale e politico, la razza è un concetto puramente biologico e gli esseri umani sono una specie, non una razza.
Tre nozioni che si confondono e si fondono laddove storicamente è servito alla causa. Chi ha concepito il concetto di razzismo e di razza lo ha fatto per interessi politici e culturali senza sapere quello che scriveva da un punto di vista genetico ma sapendo bene quello che faceva da un punto di vista sociale: istigare all’odio verso l’altro, legittimare la superiorità collettiva, tiranneggiare le popolazioni.
Il razzismo, da un punto di vista genuinamente sociale, è una manifestazione di superiorità di un gruppo, a cui una persona appartiene, verso un altro gruppo di persone considerate diverse, inferiori, sbagliate. È una modalità malata di interagire con l’altro percepito diverso da noi, e la “malattia” si rinvigorisce nel concetto di gruppo stesso, di associazione, di movimento, di setta, di loggia o come la si vuol denominare.
Razzismo, nessuno lo diventa da solo
Il singolo agisce facendo riferimento ad un’ideologia di appartenenza, come a dire che nessuno è razzista da solo, perché il gruppo di riferimento rafforza l’attinenza alla cultura “malata”, la rende reale ed esistente. In maniera molto semplice: ciò che penso io potrebbe essere sbagliato o mal giudicato, se lo pensa un gruppo consistente di persone acquista valore e concretezza. Da ciò trovo la forza prepotente di manifestare il mio pensiero, il mio giudizio e il mio odio verso l’altro considerato diverso, inferiore e sbagliato.
“Diverso” è un aggettivo usato per indicare un essere umano che appartiene ad una Nazione diversa dalla nostra o che pratica una diversa religione, che pensa diversamente dal nostro concetto di politica o che fa sesso diversamente da noi, guadagna diversamente o ha la pelle di un colore differente.
Si chiama identità etnica , un concetto socialmente eretto con cui un determinato gruppo di persone si autoattribuisce un’uniformità interna e contemporaneamente una diversità rispetto ad un altro gruppo. Da qui a sfruttare il concetto di identità per motivi politici, economici e sociali il transito è stato breve.
La storia è piena di strumentalizzazioni alias giustificazioni per sopraffare, conquistare o colonizzare l’altro e il suo territorio. E a proposito di storia e società, pensare che fossero i caratteri fisici ad influenzassero quelli psicologici, e addirittura quelli morali, fu un errore fatto nel ‘700 dagli unici due biologici patentati a parlare di razze. Erano i tempi della fisiognomica e della frenologia, discipline pseudoscientifiche con la pretesa di dedurre il carattere dell’essere umano dalla conformazione del cranio.
Peccato che ancora il DNA era uno sconosciuto e che tali valutazioni empiriche servissero più a colmare dei vuoti sociali che a dare un contributo alla scienza. Ma di fisiognomica si iniziò ad asserire già in alcune poesie greche che decantavano le relazioni tra alcuni tratti fisici e il carattere delle persone.
Razzismo, da Aristotele a De Gobineau
Lo stesso Aristotele concordava con queste teorie partendo dal presupposto che corpo e anima, in fase di crescita, si modificassero insieme a seconda degli stimoli ambientali. Se questi stimoli nascevano da nobili passioni, come la musica, modificavano in meglio l’anima, ma se lo stimolo non era nobile, modificavano il corpo in bruttezza invece che in bellezza.
Un sillogismo aristotelico assoluto che però nulla aveva a che fare con la iniziale teorizzazione sistematica del razzismo asserita da A. J. De Gobineau. Il diplomatico francese per la prima volta nel XIX secolo, imputa la decadenza delle civiltà “Arya”, o Indoiranica, al mescolarsi delle popolazioni bianche con quelle di colore.
Il suo saggio sulla ineguaglianza delle razze umane conia la prima definizione di razza ariana come “razza umana pura”. Questo concetto fu ripreso e articolato dalle leggi di Norimberga con l’affermazione che se il proprio aspetto fisico, che derivava dal sangue, non era Ariano ma Slavo, Asiatico o Nero, allora la progenie avrebbe diluito la superiorità del sangue tedesco indebolendone la razza nella lotta per la sopravvivenza.
Questi concetti oggi, da una parte, ci fanno inorridire, sia per la totale carenza di senso scientifico che per l’ altrettanta mancanza di senso morale. Ma in tutti i sensi, anche psicologico, sociale, antropologico, economico e di marketing, queste teorie scatenerebbero ribrezzo e allontanerebbero sostenitori invece che catturarne. Eppure il razzismo, in tutte le sue forme diverse, va ricordato, e l’odio che ne consegue sono ancora molto presenti in tanti esseri umani.
Il razzismo, ideologia del branco
Perché la forza del razzismo sta nell’essere unione, la potenza del pregiudizio sta nell’appartenenza, la forza dell’odio sta nella legittimazione del gruppo, del branco, dello stare uniti dalla stessa ideologia malata.
Non dimentichiamoci che nelle teorie di Hitler il valore ultimo e supremo di ogni uomo non risiedeva nella sua individualità ma nel suo appartenere ad una collettività il cui valore era dato dalla razza e il cui obiettivo era la sopravvivenza. Più la razza era pura, più era forte e più aumentavano le probabilità di sopravvivere.
Anche questo possiamo definirlo un altro sillogismo impeccabile che fu fortemente influenzato dalla funzionale interpretazione delle teorie darwiniane di sopravvivenza della specie. Darwin, però, esplicitò le sue teorie per spiegare l’evoluzione delle specie animali e vegetali. Non certo per l’essere umano.
Eppure, sempre a proposito di storia, avevamo già dato il nostro potente contributo al razzismo con il colonialismo britannico e francese quando, a seguito delle idee illuministe, la civiltà europea/bianca si era autogiudicata superiore per cultura, progressi scientifici, morale religiosa a quella africana e si era giustificata dicendo di invadere il continente nero con una missione civilizzatrice.
Civilizzare esseri inferiori e palesemente riconoscibili per il loro aspetto nero/fisico, colonizzarli, categorizzarli, studiarli da vicino legittimava e giustificava l’espansione coloniale “oltre il mare”, ma la verità di queste colonizzazioni è storia e ancora una volta l’altro è considerato diverso da noi dunque inferiore e ancora e ancora veniva legittimata la tendenza alla supremazia da parte di un gruppo economicamente e politicamente più potente verso un altro gruppo considerato diverso, inferiore, sbagliato.
L’odio è un sentimento di avversione e quindi di condanna morale verso l’altro differente da noi ed è normale chiedersi perché l’essere umano debba investire energie in un impulso tanto potente quanto negativo per approcciarsi verso un suo simile.
Il razzismo e la psicologia
Freud scriveva che discriminare l’altro, inferiorizzarlo, proietta all’esterno le istanze aggressive connaturali al gruppo stesso (Freud, 1929, “Il disagio della civiltà”). Molto semplicemente il gruppo scaglia verso altri gruppi esterni e con anche minime differenze, la propria aggressività per percepirsi migliore. Un meccanismo di proiezione delle proprie parti negative all’esterno e con il quale ci distinguiamo sentendoci gratificati dall’appartenenza.
Nella “Teoria dell’identità sociale” di Tajifel e Turner si mostra che l’accostamento a soggetti facenti parte al nostro stesso gruppo sociale ci porta a ridurre le differenze ed marcare le somiglianze. Psicologia sociale e psicoanalisi a parte, resta da dire che il razzismo ha una memoria storica legittimata da alcune culture, e che cosa è la cultura se non la formazione personale di ognuno di noi?
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Allora chiediamoci se attraverso la cultura, la scuola, i media, possiamo insegnare ai nostri figli e a noi stessi che il razzismo è un concetto strumentalizzato, che le razze umane geneticamente sono impossibili e che siamo tutti una stesse specie. L’odio deve essere combattuto con la conoscenza e dobbiamo essere coscienti che l’ignoranza dei popoli è la testimonianza di come questi possano essere manipolati, soggiogati e resi schiavi.