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Il Progetto Amber toglie le barriere ai fiumi

Il Progetto Amber toglie le barriere ai fiumi
Foto di JuergenPM da Pixabay

Nei fiumi sono state costruite parecchie opere legate a qualche scopo talvolta dimenticato o comunque gestite in modo non corretto: sono dighe e sbarramenti di vario tipo e grandezza, barriere che possono creare problemi all’ecosistema fluviale. Il progetto internazionale Amber le mappa per sapere dove sono e quante sono. E tenerle sotto controllo

Fiumi e Progetto Amber: in Italia se ne occupa il Politecnico di Milano

A capire qualcosa di più sul Progetto Amber e i suoi rapporti con i fiumi, ci aiutano Simone Bizzi e Barbara Belletti del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano (l’organismo che se ne occupa nel nostro paese), che hanno risposto insieme alle nostre domande.

Che cos’è il Progetto Amber?

Amber (Adaptive Management of Barriers in European Rivers) è un progetto europeo multi-disciplinare, nell’ambito di H2020 (cioè la serie di iniziative varate dalla Commissione Europea per finanziare ricerca e innovazione nel periodo 2014/2020, ndr). Ne fanno parte 20 istituzioni provenienti da 11 Paesi. È cominciato nel giugno del 2016 e terminerà nel maggio 2020 (https://amber.international/).

Scopo: sviluppare strumenti, come ad esempio protocolli di rilevamento e valutazione degli impatti, per creare una gestione integrata delle barriere fluviali con lo scopo di ristabilire la connettività dei fiumi in Europa.

Creare il primo Atlante Europeo delle barriere sui fiumi. Perché è così importante il Progetto Amber?

Il tema è rilevante perché la connettività dei fiumi è fondamentale per il funzionamento dell’ecosistema fiume nel suo insieme, ovvero in termini di acqua, sedimenti e organismi, ma anche per i molti interessi in gioco nella gestione degli sbarramenti (sistema idroelettrico, agricoltura, attività ricreative, e così via).

In Italia solo il Politecnico di Milano partecipa all’iniziativa?

Il gruppo Natural Research Management guidato dal professor Andrea Castelletti del Politecnico di Milano è l’unico partner italiano del progetto. In particolare ci stiamo occupando di coordinare, insieme al Joint Research Center (JRC, organismo di ricerca dell’Unione Europea, ndr), la creazione del primo Atlante a scala europea di tutte le barriere esistenti nei nostri fiumi, incluse le più piccole e meno documentate, integrando le banche dati esistenti. Amber si occupa di tutte le barriere esistenti, dismesse e funzionanti, per una gestione integrata delle stesse.

Fino ad oggi, quanto è stato mappato, in Italia e altrove?

L’Atlante a scala europea basato sulle banche dati esistenti copre già gran parte dell’Europa. Tuttavia le informazioni raccolte non sono consistenti e omogenee a scala europea, poiché provengono da fonti diverse e perché sono state raccolte con obiettivi diversi. Per esempio in Italia l’unico database esistente a scala nazionale riguarda solo le grandi dighe. A scala regionale o più locale esistono altre banche dati più dettagliate (come quelle per la difesa del suolo), ma non sono rappresentative della realtà, poiché non aggiornate o incomplete.

Per questo motivo nell’ambito del progetto abbiamo sviluppato una strategia di validazione su campo della qualità delle banche disponibili, andando a mappare in maniera estensiva un centinaio di km di fiume per ciascun paese europeo. I primi risultati di questo lavoro hanno dimostrato che in realtà sembrano esserci molti più sbarramenti di quello che è realmente documentato. Per esempio in Italia abbiamo riscontrato circa 1 barriera ogni 2 km di fiume, e questo per fiumi in Piemonte, Toscana e Emilia Romagna.

Tali strutture hanno messo a rischio (o mettono a rischio) specie animali e vegetali?

È largamente documentato che la presenza di sbarramenti lungo i fiumi impedisca il movimento di specie ittiche migratorie. Per esempio, pesci come salmone o anguilla sono in alcuni casi completamente scomparse dai fiumi europei. In Italia per esempio si considerano estinti pesci migratori come lo Storione comune, il Beluga e la Lampreda di fiume, mentre altre (inclusa l’anguilla) sono ad oggi a forte rischio di scomparsa, proprio a causa della presenza delle barriere nei fiumi.

Inoltre gli sbarramenti, anche quelli di più piccole dimensioni, intrappolano i sedimenti e a valle degli stessi si crea così un loro deficit, con incisione del letto fluviale. Nel tempo questo può portare a un abbassamento significativo del letto e della falda acquifera con conseguenze negative per le specie vegetali tipiche delle zone umide e sulla disponibilità idrica da falda stessa.

Individuate le barriere sui fiumi, che si fa? Come si interviene dopo che si individuano le barriere sui fiumi?

Obiettivo di Amber è quello di sviluppare strumenti per la gestione integrata degli sbarramenti fluviali. Per esempio, informando la Commissione Europea e i vari stati membri sullo stato della frammentazione dei fiumi nei vari paesi. O ancora attraverso l’elaborazione di procedure di valutazione degli impatti delle barriere per l’ecosistema fiume. E infine individuando le strategie di mitigazione degli impatti più efficaci come la rimozione o la modifica di barriere.

Il programma Citizen Science di Amber: “cacciatori” di barriere sui fiumi. Ma è vero che anche i cittadini possono contribuire a mappare le barriere sui diversi fiumi?

È possibile con il programma di Citizen Science di Amber (portal.amber.international/), attraverso l’app Barrier tracker, semplice da scaricare (disponibile su App Store e Google Play) e da utilizzare. Basta prendere una foto della barriera e fornire qualche informazione base, come il tipo di sbarramento, l’altezza, lo stato della struttura, per mezzo di una procedura guidata.

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