Le piante carnivore possono essere una fonte di ispirazione per nuovi materiali dotati di proprietà meccaniche molto particolari
È quanto emerso dallo studio che ha ottenuto la copertina di Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas), pubblicato da un gruppo di ricercatori del Centro per la Complessità e i Biosistemi (CC&B) dell’Università degli Studi di Milano.
L’équipe ha analizzato i meccanismi tramite i quali una di queste piante, Drosera capensis (famiglia Droseraceae), chiude le sue foglie attorno agli insetti, rimasti appiccicati alle sue superfici, per poi digerirli.
Piante carnivore, un’attrazione di origine antica
I movimenti eseguiti dalle piante carnivore hanno incuriosito scienziati, e non solo, per di più di un secolo.
Lo stesso Charles Darwin scrisse un libro su di loro. Nei suoi studi testò un numero incredibile di sostanze diverse in grado di indurre la chiusura delle foglie e descrisse il moto dei tentacoli. Darwin notò anche che questa pianta risulta ottimamente adattata per la cattura di insetti grazie ai filamenti sottili e alle secrezioni estremamente adesive che coprono le foglie.
Oggi sappiamo che le foglie sono ricoperte di tentacoli colorati che presentano alle loro estremità gocce di colla con la quale catturano gli insetti. Quando la preda viene intrappolata, la foglia si arrotola per tigmotropismo, aiutando la digestione e portando più ghiandole digestive, che si trovano nella regione centrale, a contatto con la preda stessa. Al termine del processo digestivo la foglia torna a srotolarsi.
Proprio i processi biochimici che regolano il movimento fogliare sono stati i protagonisti di gran parte della ricerca sulle piante carnivore. Così facendo, si legge in un comunicato ufficiale dell’Università degli Studi di Milano, sono state identificate diverse molecole, fra le quali anche gli ormoni vegetali, che vengono attivate dalla presenza di una preda inducendo a loro volta la chiusura della foglia attorno a essa.
D. capensis, quali forze meccaniche consentono l’avvolgimento della foglia?
Non è ancora chiaro. Altre piante carnivore sono in grado di accumulare energia elastica che viene poi rilasciata con movimenti molto rapidi, ma D. capensis non agisce così. Le sue foglie, infatti, ci mettono dai venti minuti alle tre ore per chiudersi, il che suggerisce che il processo fisico coinvolto sia diverso.
“Mi è capitato di leggere con attenzione cosa aveva scritto Darwin sulle piante carnivore/insettivore e sono stata affascinata da come potessero piegarsi e da come la natura sia capace di creare meccanismi così sofisticati” — ha detto Caterina La Porta, professoressa di Patologia Generale al Dipartimento di scienze e politiche ambientali dell’Università degli Studi di Milano e ideatrice e coordinatrice di questa ricerca.
“Come patologa generale — continua Caterina La Porta — voglio capire i meccanismi che usa la natura e comprendere come funzionano le piante carnivore è stata una sfida incredibile che mi ha aiutato a capire meglio come la natura combina proprietà meccaniche e biochimica per raggiungere i suoi obiettivi”.
Una questione affascinante con applicazioni potenziali per materiali di ispirazione “bio”
Usando tecniche sofisticate, i ricercatori del CC&B hanno seguito la traccia di Darwin e hanno studiato come la foglia della pianta di D. capensis sia in grado di piegarsi quando viene stimolata, per esempio con una goccia di latte.
Un intento preciso quello degli scienziati: dimostrare che il meccanismo di chiusura è programmato nell’architettura cellulare delle foglie di D. capensis, che converte un segnale biochimico omogeneo in una risposta asimmetrica.
Il lavoro, specifica la Statale di Milano, ha combinato studi di biofisica con la microscopia di struttura della foglia, l’analisi quantitativa di fattori come l’auxina, coinvolti nella crescita delle cellule, e simulazioni al computer. Tale approccio multidisciplinare ha consentito la realizzazione di un metamateriale avente tutte le proprietà biologiche osservate nella pianta.
Oltre a questo promettente risultato, la ricerca ha permesso anche di comprendere che il meccanismo utilizzato dalla foglia per piegarsi sulla preda è legato alle proprietà strutturali delle cellule che compongono la foglia stessa.
“Una strategia simile può essere sfruttata per sviluppare altri metamateriali, cioè materiali artificiali dotati di proprietà in genere non presenti in natura, in grado di mutare forma” — aggiunge Stefano Zapperi, professore di Fisica Teorica al Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Milano e secondo coordinatore dello studio. I nuovi metamateriali forniscono un esempio di design bioispirato e potrebbero venire adoperati come componenti nella cosiddetta “soft robotics”.