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Paolo Rossi, se ne va un simbolo degli “eroici” giocatori del Mundial 1982

Paolo Rossi, se ne va un simbolo degli "eroici" giocatori del Mundial 1982
Foto di Kevin Ramirez da Pixabay

Il 2020, annus horribilis, si è portato via anche Paolo Rossi, “el hombre del partido”, icona di un’Italia che non esiste più. Un’Italia che nel 1982 era in silenzio stampa e affidava le uniche parole da dire ai giornalisti a Dino Zoff

Paolo Rossi, “leggenda” del Mundial degli anni Ottanta, “el hombre del partido”, l’uomo partita, come sfolgora in quella notte magica la scritta sul tabellone luminoso dell’arena calcistica. Abbiamo ancora negli occhi il sorriso in estasi di Pablito che indica il tabellone a Enzo Bearzot, in quell’attimo di incontenibile gioia. Come un figlio al padre, che sembra dire: “Hai visto, papà, di cosa sono stato capace, quando nessuno più credeva in me mentre tu si?”.

Poi, titolava così Il Corriere dello Sport in quella fatitica data del 12 luglio 1982: “Eroici”, “Germania ko. Gli invitti azzurri danno all’Italia, dopo 44 anni, il mondiale”.

Di quegli “eroici” faceva parte Paolo Rossi. L’unico capace di 3 guizzi e 3 gol al Brasile, che diventerà, in quello storico e indimenticabile modiale del 1982,  capocannoniere del torneo con sei gol da consacrazione e che diventerà nello stesso anno , “Pallone d’Oro”. L’italiano più famoso, insomma, prima dell’arrivo di un altro Rossi di nome Valentino.

Di Paolo Rossi scrive così Gianni Brera dopo averlo visto in azione a Marassi: Paolo Rossi impersonava l’immagine lieve e leggiadra del danzatore così perfetto da assumere finanche movenze femminili, era la grazia, il garbo trionfante in un gioco non di rado inficiato da gesti rozzi e violenti. Arriva sulla palla con salti lievi da gazzella, lancia il destro come una sfida, colpisce nitidamente a volo e indirizza nell’angolino sul secondo palo. Mi pare subito un efebo da incoronare a Olimpia. Non servono corone da olivastro: gli bastano i riccioli che Michelangiolo ha dato al suo David. Inventa calcio con intuizioni fulminee, balzi armoniosi, tocchi rapidi e arguti come i morsi di un aspide. È la sorpresa del gol ogni volta entusiasmante, lo stupore della grazia serena in fasi di concitato e spesso brutale agonismo, tutto questo è stato Paolo Rossi”.

Paolo Rossi, una carriera di “guizzi”

Pablito inizia a 11 anni al campetto dell’oratorio Santa Lucia nel vivaio della Cattolica Virtus. Sarà Italo Allodi, storico manager della Juventus a scovarlo. Lo acquista per 20 milioni di lire e non sono poche. Ma quella saettante ala destra ad Allodi piace molto.

Per la Juve ancora è “acerbo”. Il ragazzino è gracilino e risulta agile quanto fragile. Non è un caso che subirà nella sua carriera ben 3 operazioni al menisco. Nel 1975 viene mandato in prestito al Como. Ma l’anno “fatale” è il 1976 dove inizia il suo “fulgido” percorso con il Lanerossi Vicenza del presidente Giussy Farina.

La squadra è in Serie B, Rossi dovrebbe fare la riserva ma come accade nella vita, per un caso del destino,  si ritrova centravanti e titolare. Il bomber della squadra Vitali, infatti, litiga con la società e Giovan Battista Fabbri intuisce le potenzialità del futuro Pablito  e lo “arruola”. Pablito resterà tutta la vita particolarmente legato a due figure di un calcio d’altri tempi che davvero deliziava anche i non appassionati. Queste due figure sono Giovan Battista Fabbri e “Il vecio” Enzo Bearzot (da leggere assolutamente il libro di Gigi Garanzini, Il romanzo del vecio, Enzo Bearzot, una vita in contropiede).

Rossi al Vicenza segna 21 gol portando la squadra nella massima serie e l’anno successivo i gol che faranno volare la squadra veneta saranno ben 24. Per il Lanerossi significheranno il secondo posto, per Pablito quasi il record di gol di Meazza, 25.

L’Italia del 1978 e del 1982

La rivelazione Rossi esplode nel 1978. Siamo in Argentina, il paese è sotto dittatura di Videla, Bearzot a sorpresa lo schiera nella prima partita con la Francia accanto a Bettega, mettendo in panchina Graziani e facendo di quell’Italia, una squadra dal gioco esaltante, l’Italia degli esordienti Rossi e Cabrini.

In Argentina, Paolo Rossi diventa Pablito e segna 2 gol in 7 partite. Memorabile la triangolazione con cui l’Italia batte l’Argentina che picchia duro e che poi vincerà il mondiale ai danni della povera Olanda.

Tornato in Italia, Juve e Vicenza se lo litigano. Farina non molla e ci si “rovina”. Il Vicenza va in B e Rossi viene ceduto in prestito al Perugia. Un anno da dimenticare è il 1980, anno della vicenda del “calcio scommesse” su cui Pablito si dichiarerà sempre innocente. Anche nel bellissimo volume scritto assieme alla moglie Federica Cappelletti Quanto dura un attimo (Mondadori, Collana Vivavoce, pagine 288, € 19) lo ribadirà più volte con fermezza.

Bearzot ci crede a Pablito. Nonostante l’aria che si respira. Paolo Rossi per molti è finito.  Ma lI “Vecio” dimostrerà di avere ragione e nel 1982 accade quello che tutti sappiamo. Rossi risorge e porta un’Italia “commovente” ad una vittoria che nessuno può immaginare. Soprattutto alla fine della prima fase del torneo.

Poi il pallone d’Oro e lo scudetto nell 1983-83 con la Juve. “La sua storia, che parte dal fantastico rumore dei tacchetti negli spogliatoi del Santiago Bernabeu in attesa della finalissima, può essere d’esempio per tutti, per accendere gli entusiasmi e insegnare ai giovani che da ogni difficoltà si può venire fuori e diventare anche campioni. Esattamente come quando in campo rubava il tempo agli avversari, la leggenda di Pablito sfugge all’oblìo delle masse perché tutti abbiamo ancora bisogno di sognare e di credere nelle imprese impossibili”.

Proprio così, con Paolo Rossi abbiamo imparato a sognare e a credere nelle imprese impossibili. Forse è questo “quanto dura un attimo”. Quando diventa eterno per la gioia che provi in certi momenti di inenarrabile felicità in cui i sogni si avverano. Come accadde per molti in quello straordinario 1982 con l’Italia di quegli “eroici” giocatori del Mundial.

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