Scrittore dalle intense passioni, vespista e sensibilità non comune. Nel suo volume L’amore è sempre la causa, Luca Bertelli ci prende per mano. Ricordandoci il volto migliore del mondo e quello per cui bisogna sempre sperare. Andando oltre il buio e il manicheismo che non è capace di cogliere le sfaccettature “del buono, del giusto e del bello”. Per questo ho voluto intervistarlo
Non c’è che una salvezza. L’amore. Non solo perché, come titola il volume di Luca Bertelli, L’amore è sempre la causa, ma perché l’amore è l’unica salvezza veramente. Amore per la pace, amore per il dialogo, per le sorti umane e del pianeta, amore per la propria autodeterminazione e per la libertà.
Luca Bertelli è uno di quei viaggiatori amanti della solitudine a cui le due ruote sanno consegnarti. Una strada davanti, un manubrio ben saldo tra le mani e tutti i pensieri si rischiarano. Stenio Solinas in un bellissimo volume dal titolo Compagni di Solitudine scrive: “Le corse in moto e il fastidio della modernità, il gusto della solitudine e il perdersi nella massa, l’ansia d’assoluto e il minuto mantenimento del presente, uomo del suo tempo eppure nato fuori tempo, asceta ed esteta”.
Non solo, dunque, “solvitur ambulando” ma anche “solvitur in sella”, magari ad una Vespa come lui predilige. Luca ama viaggiare lentamente, attraversare in profondità quei luoghi per abbracciarli con le “ruotine” della sua ET4. Nato a Guastalla (RE) nel 1965, si occupa di amministrazione e logistica applicata al campo della stampa tipografica.
Dal 2016 ha iniziato a cimentarsi nella scrittura. Del 2016 è il suo primo romanzo L’amore è sempre la causa. Due anni dopo, nel 2018, è uscito Un giorno 24 Ore, entrambi editi da Edizioni Leucotea, romanzi che hanno ovviamente come filo conduttore la tematica on the road.
Ripercorrando la sua storia, in questa intervista, tornano in mente le parole di Jack Kerouac nel leggendario Sulla Strada: “Cos’è quella sensazione che si prova quando ci si allontana in macchina dalle persone e le si vede recedere nella pianura fino a diventare macchioline e disperdersi? È il mondo troppo grande che ci sovrasta, è l’addio. Ma intanto, ci si proietta in avanti verso una nuova, folle avventura sotto il cielo. Perché ci sono troppe cose che mi piacciono e mi confondo e mi perdo a correre da una stella cadente all’altra fino allo sfinimento. Non avevo niente da offrire a nessuno tranne la mia confusione”.
Ecco, abbiamo bisogno di proiettarci tutti avanti, in una nuova folle avventura sotto il cielo. Per questo abbiamo di un mondo in pace dove le frontiere siano solo quelle da attraversare non per aggredire ma per accogliere ogni attimo di felicità.
Sono giorni difficili in cui il mondo mostra il suo duro volto. Il titolo del tuo libro, L’amore è sempre la causa, per fortuna, ci porta altrove. Vogliamo raccontarlo? Di che amore si tratta? C’è anche spazio per l’amore per l’ambiente, il pianeta e gli animali o solo per la vita e per la Vespa?
I giorni difficili provengono dall’inesauribile scorta d’idiozia di cui l’essere umano è dotato, e nonostante millenni di storia a testimonianza delle assurdità che l’odio è in grado di creare, esso è sempre presente, inossidabile e di facile reperibilità.
Il romanzo celebra invece l’amore, anche se malato, inaspettato e sconvolgente, che porterà entrambi i protagonisti ad analizzarsi e a scoprire nelle rispettive profondità tristezze, contrapposte da energie risvegliatesi dopo anni di oblio, soffocate da esistenze anonime e frustrate.
Come recita il titolo, il messaggio è soprattutto un consiglio di vivere comunque l’amore, e celebrarlo a tutto tondo, sia nei suoi aspetti più gioiosi, a volte forse risibili, che quelli terrificanti, in grado di farti precipitare negli inferi della mente. Detto ciò, accostatevi comunque senza timore al libro, trattasi di uno scritto che appartiene al genere “viaggio improvvisato”, condotto con voluta lentezza, al fine di vivere davvero la strada, e tutto quello che ti circonda, provando sulla propria pelle il sole che ti scalda nelle partenze mattutine, e che ti cuoce nei lunghi pomeriggi ispanici, mentre guidi Giulietta su strade che paiono senza fine.
Un modo poco “serio” di vivere il viaggio insomma, dimenticando mete e orari, ancor meno pianificazioni, uno stile che rispecchia perfettamente il personaggio, un poco scanzonato, sicuramente italico. Perdonatemi se mi soffermo ancora sulla questione dello slow travel; credo che la tecnologia, comunque straordinaria e ormai indispensabile, abbia per certi aspetti svilito il pianeta intero e le proprie dimensioni; riducendolo a una pista d’atterraggio o a una stazione ferroviaria. Ora fermatevi un attimo e chiedetevi, che cosa c’è in mezzo, tra la tratta Bologna – Roma? (percorribile con la TAV in un paio d’ore). Risposta: un’Italia quasi sconosciuta.
Hai chiamato Giulietta la tua Vespa, più amore di così
Questa è una storia che parte da molto lontano. Da bambino, sul balcone di quella casa appoggiata sul viale che conduceva al grande fiume, mi divertivo a indovinare a quale auto appartenesse il suono che sentivo avvicinarsi. Ero davvero abile, anche se non molto difficile perché allora le auto avevano una propria voce, inconfondibile.
Quelle che amavo maggiormente provenivano dagli scarichi dell’Alfa Romeo, la Giulia e soprattutto la Giulietta, che paragonavo a un canto. Amavo anche il suo nome, così romantico, con un inevitabile rimando a quel famoso balcone scaligero. Inoltre la Vespa è donna, che immagino sempre sorridente, quindi perché non battezzarla così?
Raccontiamo i tuoi viaggi e cosa significa per te viaggiare: evasione, libertà, solitudine?
In tre parole hai condensato perfettamente quello che per me è il viaggio, che è soprattutto solitudine, intesa come ricerca di un silenzio costruito da pensieri positivi, mentre stai ascoltando te stesso.
Per certi aspetti il viaggio è abbandonare momentaneamente la vita reale, e vagabondare in una sorta di bolla onirica perchè peregrinare per il mondo ha molto del viaggio interiore, e lasciare quindi per un breve tempo quello che già conosciamo, in ultima analisi un sogno straordinario che dura troppo poco.
Ho avuto modo, negli scambi che abbiamo avuto, di percepire una profonda sensibilità, una eleganza “appartata” che non sgomita per apparire né per autocelebrarsi. Come sei arrivato a questa consapevolezza e quando hai deciso di scrivere sia l’amore è sempre la causa sia un giorno 24 ore? Quali esperienze ti hanno portato a quello che diceva Marguerite Duras: scrivere è urlare nel silenzio
Ti ringrazio di cuore per queste tue parole. Considero da sempre la modestia come la miglior qualità, non troppo di moda in questi tempi. Ho iniziato per caso a cimentarmi come novello scrittore, scoprendo che ciò mi dava una discreta gioia, e a qualcuno piaceva il mio stile, e questo è davvero gratificante perché scrivere è come aprire una finestra nella propria anima, e se quello che si intravede piace, non c’è soddisfazione più grande.
L’idea del primo romanzo è nata durante un viaggio (ovviamente in Spagna) nel 2014, ho elucubrato poi per un paio d’anni, a volte sentendomi ridicolo, è così difficile capire se quello che produci è accettabile o una boiata. Insomma alla fine l’ho ultimato e ancora più incredibile Edizioni Leucotea ha fatto sì che questo sogno si avverasse. Come dicevo prima, ho avuto la presunzione di miscelare il genere on the road con la letteratura romantica, sperando di aver centrato l’obiettivo.
Per “Un giorno 24 ore”, uscito nel 2018, il travaglio è stato sicuramente più semplice in quanto sentendomi già “scrittore affermato” (e qui ci facciamo una risata grassa…), le pagine quasi si scrivevano da sole, complice soprattutto il fatto che si è trattato di un reportage, un poco romanzato, di un vero viaggio compiuto nel 1995, in compagnia di tre cari amici.
Avevo deciso fermamente che quel viaggio meritasse l’immortalità, cercando con le parole di onorare quei tempi in cui si viveva il passaggio tra la gioventù spensierata e le porte della vita che ci attendevano spalancate, per chissà quale destino. Quel viaggio fu un vero spartiacque della nostra esistenza, e non potevo permettermi che quei momenti straordinari si perdessero, svanendo come meravigliosi sogni al risveglio.
Secondo te è possibile, nonostante stucchevoli tendenze modaiole, un turismo sostenibile con le nostre amate vespe e motociclette senza l’ossessione per l’elettrico?
Non credo che le nostre piccole Vespe, o le motociclette in genere, siano la causa primaria dell’inquinamento che attanaglia il mondo, sono ben altri i mezzi che stanno distruggendo il pianeta azzurro, senza dimenticare il nostro stesso stile di vita, che contribuisce non poco ad acuire la problematica.
In merito all’elettrico… ma… non ci metto bocca, non sono un esperto e scivolo su questa domanda anche se vedere passare una HD e non sentir alcun suono uscire dallo scarico lascia un po’ straniti, primo perché trattati di un mezzo mosso dalla passione, e non per altre esigenze (e quindi un utilizzo limitato) e soprattutto da motociclista ti chiedi; perché non si sente niente?
Se, in uno dei tuoi viaggi, decidessi improvvisamente di trovarti in Ucraina e poi di fronte a Putin, cosa diresti agli uni e agli altri?
Al primo direi che i tempi degli Zar sono finiti, ai secondi sinceramente non saprei cosa dire; è una situazione talmente paradossale che lascia senza parole. Un grande abbraccio a quel popolo sfortunato, quello sì, con l’augurio che quest’incubo finisca al più presto.
Un giorno 24 Ore, perché proprio Le Mans?
Anche qui necessita la macchina del tempo. In una sperduta galassia, molti anni fa, mio zio paterno in occasione del mio compleanno, mi consegnò una grande scatola. Era avvolta in carta da pacchi, con un grande fiocco.
Dentro, sentivo muoversi qualcosa, io impazzito di gioia scartai tutto velocemente; la parte superiore del coperchio riportava un disegno con un pilota impegnato ad affrontare a grande velocità una curva di una pista allora a me sconosciuta.
Aprii il coperchio e dentro c’era un modellino di una Porsche 917, l’auto che dominava a quei tempi le gare di endurance. La pista in questione era ovviamente Le Mans, rimasi folgorato così, come un San Paolo sulla via per la Sarthe.
Quanto è “terapeutico” in Vespa e perché? proviamo a convincere uno che va in monopattino
Come spiegare quel formicolio che senti sotto le mani, inforcare il mezzo e partire, e sentire l’aria che ti accarezza, e le curve, e visione di colline lontane, e ancora più in là montagne azzurre perdersi tra grandi nuvole bianche? Come spiegare tutto questo senza averlo provato? Scendete da quei cosi e salite su una vera due ruote. (Ah dimenticavo; magari stavolta rispettate la segnaletica eh? Grazie).
Ho letto un tuo interessante articolo sul viaggiare in Vespa dal titolo; passaggio ad Ovest. Perché tanto affascinato dall’Ovest?
Questo non me lo so spiegare, immagino sia la stessa febbre provata da chi, di ritorno dall’Africa, fremeva per ritornarci.
Come credi (e se sarà così) che cambierà il nostro modo di viaggiare?
Mi auguro non cambi di molto, del resto chi va in motocicletta non è per niente esigente; occupiamo poco spazio e consumiamo ancora meno.
Il mondo dei vespisti: cosa ti attrae di più e cosa non condividi (se c’è qualcosa che non condividi, io personalmente sono allergico a tutti gli infeudamenti a qualsiasi congrega) di questo comunque variopinto universo
Nel 2019 fui invitato a Salsomaggiore Terme, in occasione dell’evento Vesperranti, per presentare il libro. Ho incontrato personaggi davvero interessanti, alcuni dei quali hanno intrapreso viaggi incredibili con questo mezzo straordinario.
Per il resto non mi sento affiliato a nessun movimento e allo stesso tempo lo sono a tutti, come dire; mi sento cittadino del mondo (delle due ruote).
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