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La Venta Esplorazioni Geografiche, un mondo ancora tutto da scoprire

La Venta Esplorazioni Geografiche, un mondo ancora tutto da scoprire

La Venta Esplorazioni Geografiche è l’associazione nata da un gruppo di amici appassionati alla speleologia. Oggi composta da un team di esperti e ricercatori, organizza esplorazioni geografiche alla scoperta di un mondo ancora tutto da conoscere. Una realtà made in Italy che merita di essere valorizzata.

“C’è ancora molto da scoprire nelle regioni più remote della superficie terrestre, e moltissimo al di sotto di essa, dove si stendono ancora quasi inesplorate le Terre della Notte.” Questo il motto de La Venta Esplorazioni Geografiche.

Ci sarebbe infatti da chiedersi se una realtà del genere, come quella dell’esploratore, abbia ancora ragion d’essere nel 2020. In un’epoca come la nostra in cui ogni parte del mondo sembrerebbe essere stata ormai conosciuta e svelata e alla portata di chiunque. Tuttavia, la risposta è sì! E basta vedere il lavoro di La Venta per capirlo.

Ma soprattutto, guardando i loro affascinanti progetti, capaci di appassionare e di avvicinare alla bellezza del mondo e della scoperta di esso, ciò che risulta essere più chiaro che mai, è l’esigenza e la necessità di valorizzare un lavoro come il loro, prodotto della nostra patria. Troppo spesso infatti, l’esistenza di realtà come quella di La Venta, viene data per scontata o sottovalutata.

Per La Venta Esplorazioni Geografiche particolare importanza ha la divulgazione dei risultati delle ricerche che ha contribuito notevolmente a espandere le conoscenze su parti ancora inesplorate e sconosciute del mondo. Passione, dedizione, impegno e voglia di esplorare, nonché altissime competenze e professionalità, sono tutte cose che caratterizzano questo team di esploratori. Ne parliamo in questa intervista con il presidente di La Venta Esplorazioni GeograficheFrancesco Lo Mastro.

Prima di tutto cos’è La Venta, di cosa si occupa e qual è la sua storia?

La Venta è un’associazione nata nel 1991 da un gruppo di amici con la passione per la speleologia che in trent’anni di attività si è evoluta in un’associazione di esplorazioni geografiche, multitematica, con forte inclinazione alla tutela dell’ambiente e alla ricerca scientifica. Oggi, contando un’ottantina di soci sparsi per il mondo, elaboriamo e realizziamo progetti esplorativi nelle aree più remote del pianeta e negli ambienti più disparati: ghiacciai, deserti, foreste tropicali, ambienti subacquei, cavità naturali, massicci montuosi, vulcani e via dicendo.

La Venta non è un’associazione di professionisti, accoglie al suo interno persone di tutte le estrazioni sociali e attività lavorative, dal semplice operaio all’accademico, tutti legati dalla passione per l’avventura, l’esplorazione e la ricerca. Benché ufficialmente fondata nel 1991, la nostra storia inizia qualche anno prima, nel 1989, con la partecipazione di alcuni che poi diventeranno i soci fondatori, ad una spedizione speleologica sulle montagne del Pamir-Alaj in Uzbekistan e proseguendo nel 1990 con la discesa integrale del canyon del Rio La Venta (da cui poi l’associazione ha preso il nome) in Chiapas – Messico.

Fu proprio a seguito di quella discesa che nel 1993 l’ormai costituita La Venta vinse il suo primo Rolex Awards for Enterprises. Quel premio fu il motore che ci spinse alla scoperta del mondo, con nuovi progetti, esperienze, sogni, successi ma anche delusioni.

Di cosa vi state occupando al momento? Parliamo un po’ dei vostri meravigliosi progetti

Di progetti ne abbiamo tantissimi e tanti altri ne abbiamo nel cassetto. Attualmente ne abbiamo in corso d’opera diversi, ma, a causa della pandemia, viaggiare è diventato impossibile e rischioso quindi tutto è fermo in attesa di tempi migliori. Provo a riassumerne qualcuno.

Il primo e sicuramente il più longevo è il progetto “Rio La Venta”, sviluppato in un’area di foresta tropicale fortemente carsificata. Ad oggi abbiamo all’attivo più di 30 spedizioni a carattere speleologico-scientifiche nell’area del canyon omonimo e una decina di campagne archeologiche all’interno della selva El Ocote incentrate sullo studio dell’etnia Zoque, antecedente e contemporanea ai Maya, con ritrovamenti di numerosi siti culturali in ipogei naturali e insediamenti con piramidi e strutture sepolte dalla vegetazione.

La discesa del Canyon e alcune delle scoperte archeologiche sono riassunti nel nostro libro “Rio La Venta – tesoro del Chiapas”. Di queste spedizioni resta traccia in alcuni documentari prodotti in proprio e altri in collaborazione con i maggiori network internazionali.

Un altro progetto fermo è quello relativo allo studio dei ghiacciai del mondo, in particolare quelli patagonici argentini e cileni; anche qui con numerose spedizioni scientifiche spesso sotto l’egida dell’UNESCO (il nostro libro “Grotte di cielo” ne ha avuto il patrocinio). Nell’ultima spedizione del 2017 sul ghiacciaio Perito Moreno, effettuata insieme agli amici glaciologi francesi dell’associazione Spélé’Ice, ci siamo occupati, oltre al consueto problema climatico della regressione dei ghiacciai, anche dello studio di particolari microrganismi estremofili (tardigradi) e dell’ambiente (crioconiti) in cui vivono.

Per le loro caratteristiche di resistenza alle escursioni termiche (si parla resistenza da +150° a -200°) e per alcuni esperimenti di sopravvivenza effettuati nelle missioni spaziali i tardigradi potrebbero essere considerati di origine aliena a seguito dell’impatto di meteoriti sul suolo terrestre. Anche per il “Progetto Ghiaccio” sono stati pubblicati numerosi articoli e prodotto documentari; in particolare, nell’ottobre 2005 abbiamo realizzato insieme alla BBC alcune riprese nei mulini (profondi pozzi) del ghiacciaio Gorner, in Svizzera, per la serie Planet Earth.

L’altro progetto che ha subito lo stop per la pandemia è quello relativo all’esplorazione dei Tepui venezuelani, portato avanti in questi ultimi anni in collaborazione con gli amici del gruppo speleologico locale Theraphosa. I Tepui sono degli antichissimi affioramenti di roccia quarzitica (datati circa 3,5 miliardi di anni, tra le più antiche e dure in assoluto) che si ergono tra le pianure della Gran Sabana venezuelana e il confine brasiliano. Si tratta di altissimi rilievi con pareti strapiombanti anche di mille metri alla cui sommità si sviluppa un ecosistema unico e incontaminato.

Insomma delle enormi piattaforme naturali la maggior parte delle quali mai toccate dall’uomo, raggiungibili solo in elicottero e legate a leggende e rituali arcaici delle popolazioni indigene che vivono alle loro pendici. Il nostro progetto consiste nello studio del territorio, del suo sottosuolo e della sua salvaguardia, comprese le forme di vita endemiche del delicato ecosistema.

Non a caso, in previsione delle esplorazioni, abbiamo realizzato un rigoroso protocollo per evitare qualsiasi tipo di contaminazione dovuta alla presenza di una base di ricerca sulla sommità dei Tepuy: dal tracciamento di percorsi rigorosi per un minor impatto possibile sul territorio a sistemi di stoccaggio e asportazione dal luogo dei rifiuti organici (cibo e fisiologici umani), oltre all’eliminazione di ogni minima traccia di residui dovuti alla nostra presenza sul posto.

Ad avvalorare la valenza scientifica del progetto ed i suoi importanti risultati nel 2014 ci è stato assegnato il secondo Rolex Award for Enterprise. Nel 2015 insieme alla BBC abbiamo realizzato un documentario sull’area dell’Auyan Tepui.

Non ultimo ma ugualmente longevo alla pari di quello del Rio La Venta è il progetto “Puerto Princesa Underground River” nell’isola di Palwan in Filippine. Riguarda l’esplorazione di un fiume carsico sotterraneo che sfocia direttamente nel Mar Cinese Meridionale, in parte turistico e navigabile per quasi 5 chilometri, con all’interno un delicatissimo ecosistema. In collaborazione con le autorità locali, università, enti di ricerca, e il Puerto Princesa Subterranean River National Park, il progetto nato inizialmente come esplorazione speleologica, si è nel corso degli anni trasformato in scientifico a tutto tondo.

Grazie anche al nostro operato, con esplorazioni, la stesura di linee guida per un turismo sostenibile, i risultati scientifici e la scoperta di nuove specie faunistiche, nel 2011 l’Underground River è stato proclamato tra le nuove sette meraviglie della natura. Il nostro libro “Una grotta fra terra e mare” narra di questa avventura. Nell’anno 2016 abbiamo realizzato un documentario prodotto dalla casa di produzione francese One Planet.

Attualmente portiamo avanti un’attivissima collaborazione con il gruppo speleologico locale La Karst che continua con successo le esplorazioni nell’Underground River.

Nel concreto, cosa significa oggi realizzare progetti esplorativi come i vostri?

Innanzitutto, un grande sacrificio e nello stesso tempo una grande soddisfazione. Alla base di ogni progetto vi è tutto uno studio preliminare che parte dalla ricerca bibliografica sulle aree da esplorare passando per l’indagine di foto satellitari (oggi Google Earth aiuta molto), i contatti con istituzioni, gli enti di ricerca, le comunità indigene fino ai gruppi speleologici locali. Poi, valutate sulla carta le difficoltà logistiche e le potenzialità esplorative del territorio, si organizza una pre-spedizione conoscitiva.

Successivamente, espletate tutte le pratiche burocratiche (visti, permessi vari, autorizzazioni alla ricerca scientifica, ai campionamenti ecc…) si passa alla fase operativa vera e propria. Durante le spedizioni vengono sempre coinvolte le realtà del luogo, cercando di instaurare un rapporto di fiducia e collaborazione alla pari che sia di aiuto e possa trasmettere il nostro Know how alle istituzioni e alle popolazioni locali per una ottimale salvaguardia e gestione del territorio.

Sempre più i nostri progetti esplorativi sono caratterizzati dalla ricerca scientifica, con collaborazioni ai più alti livelli; il nostro scopo primario, la nostra filosofia, oltre la scoperta è dunque la condivisione dei dati. Purtroppo, un po’ per la crisi economica un po’ per mentalità, oggi siamo in grande difficoltà gestionali, dato che sia gli sponsor, sia chi dovrebbe essere più sensibile al nostro lavoro è spesso assente. Per lo più l’associazione si autofinanzia coprendo il 90% delle spese.

Molto fanno le collaborazioni internazionali, dato che alcuni dei nostri soci sono collegati ad università ed enti di ricerca, ma questo a volte non basta. I nostri appelli e i tentativi di sfondare il muro dell’indifferenza negli ambienti culturali e dell’informazione spesso si infrangono sul pregiudizio e sull’ignoranza. Paradossalmente, siamo più apprezzati e conosciuti all’estero che in Italia; un po’ come dire “Nemo profeta in patria”.

Potresti raccontarci una delle esplorazioni più significative per te da quando La Venta è nata?

Sicuramente il “Progetto Naica” rappresenta per me e per La Venta quello più impegnativo e avvincente in trent’anni di attività. La grotta dei cristalli giganti di Naica fu scoperta nell’anno 2000 durante lo scavo di una galleria nella miniera d’argento omonima nello stato di Chihuahua in Messico ma balzò alle cronache qualche anno più tardi quando se ne cominciò a parlare più insistentemente sugli organi di stampa.

Grazie ad un nostro socio messicano La Venta riuscì a stipulare un accordo di esplorazione e ricerca scientifica con la compagnia proprietaria Peñoles. Ebbe inizio così l’esplorazione della grotta dei cristalli giganti, un grosso geode posto a -290m dalla superficie, di una trentina di metri di lunghezza per 25 di larghezza e dieci di altezza. Il suo interno è letteralmente tappezzato da innumerevoli cristalli di selenite (gesso), di svariate forme, createsi nei millenni in un ambiente sommerso, molti dei quali sono lunghi più di dieci metri.

Naica è il progetto più impegnativo per l’associazione La Venta perché presenta delle condizioni climatiche interne estreme: temperature prossime ai 50° con umidità che rasenta il 100%. Un clima infernale che a causa dell’alta percentuale di umidità non permette l’evaporazione corporea, quindi, non essendoci perdita di calore, pian piano la temperatura si stabilizza con quella della grotta.

Considerato che le nostre cellule muoiono già a 42° si comprende benissimo come la permanenza all’interno dalla cavità sia rischiosa e con tempi talmente brevi da non permetterne sia l’esplorazione che la ricerca scientifica in sicurezza. Insomma, un ambiente infernale. Per ovviare a ciò ci siamo inventati delle speciali tute al ghiaccio e dei respiratori refrigerati in modo da mantenere la temperatura corporea entro livelli accettabili ma con un tempo limite di circa un’ora.

Grazie a questo sistema abbiamo potuto effettuare sia le esplorazioni delle parti più profonde della cavità sia le ricerche scientifiche, con campionamenti, rilievi e studio della fisiologia umana, compresi alcuni test effettuati insieme a personale della Nasa con una speciale apparecchiatura che rileva forme di vita nelle rocce da impiegare nelle missioni del “Progetto Marte”. Tutte queste attività sono state documentate da una troupe del National Geographic con la realizzazione di un documentario.

Sicuramente ci sarebbe tanto altro da esplorare, ma un po’ per il rispetto della grotta (la prosecuzione in alcuni punti remoti avrebbe comportato la distruzione di gran parte dei cristalli) un po’ perché la direzione della miniera non autorizza più ingressi, non ci è stato possibile completare il progetto. Attualmente non sappiamo se il livello dell’acqua di falda sia risalito fino a sommergere nuovamente la grotta; un vero peccato per il proseguo delle ricerche, ma, magra consolazione, resta il fatto che almeno così la grotta sarà preservata per sempre. Riguardo al progetto Naica abbiamo un cruccio, raramente veniamo citati o interpellati sull’argomento.

Assistiamo, nel maremagnum del web dove regna il pressapochismo e la superficialità, al dilagante copia incolla selvaggio di informazioni imprecise se non assurde. Leggiamo di tutto sui cristalli di Naica, dalle interpretazioni più fantasiose sullo stato attuale della grotta alle narrazioni fantascientifiche sull’origine dei cristalli e la loro evoluzione. Tutto questo crea disinformazione e contribuisce a dare una non corretta narrazione scientifica del fenomeno. Per ovviare a questo è di prossima uscita il nostro nuovo libro “I Cristalli di Naica”, dove narriamo di questa meravigliosa avventura, relazionando con dati scientifici e immagini tutto quanto è stato fatto all’interno delle sue grotte.

Quali sono i vostri progetti per il futuro? e cosa vi augurate?

Certamente nel nostro futuro vi è la speranza che termini al più presto questa pandemia per poter continuare a muoverci per il mondo. Di progetti futuri ne abbiamo diversi. Uno di questi è portare avanti le ricerche nelle grotte termali del Monte Cronio a Sciacca, dove esiste un ambiente pressoché simile per microclima alle grotte di Naica.

Il progetto è multitematico ed è portato avanti in collaborazione con gli amici del Gruppo Grotte Eugenio Boegan di Trieste, storici esploratori di queste grotte; riguarda l’esplorazione delle cavità e lo studio delle risposte fisiologiche all’ambiente estremo, con una parte archeologica in collaborazione con la Soprintendenza di Agrigento (all’interno della grotta sono presenti delle grosse e misteriose giare di terracotta risalenti a tre-quattromila anni fa).

In più, nel maggio del 2017 La Venta insieme all’ESA (agenzia spaziale europea) ha condotto con l’astronauta Luca Parmitano alcune attività in grotta per l’ESA CAVE, un programma di training per gli astronauti della stazione spaziale internazionale.

Un altro progetto per il futuro è relativo all’esplorazione di un’area quarzitica inesplorata nel parco nazionale del Chiribiquete nella foresta amazzonica Colombiana. I primi contatti sono stati presi lo scorso anno con una riunione con i capi villaggio dell’area. La zona, un tempo sotto controllo delle FARC (forze armate rivoluzionarie colombiane), dopo la riappacificazione con il governo nazionale è stata dichiarata aperta alla frequentazione. Negli accordi stipulati con i locali vi è l’organizzazione da parte La Venta di un spedizione esplorativa composta da soli indigeni.

Questo rappresenta per noi un motivo di orgoglio, dato che sarebbe, nella storia delle esplorazioni, la prima spedizione al mondo completamente indigena. Successivamente a quella verrà organizzata la spedizione mista per l’avvio del progetto. Ultimo ma solo per non dilungarmi ulteriormente, abbiamo in corso d’opera un progetto di esplorazione dei tubi lavici nella parte nord dell’isola Isabela alle Galapagos. Nel 2016 abbiamo effettuato una ricognizione prendendo contatti con la direzione del parco nazionale.

Il grande problema in questo progetto sono gli spostamenti via mare, dato che la parte settentrionale dell’isola è off-limit per il turismo, quindi non presenta punti di approdo sulla costa. Altro problema è l’assoluta mancanza d’acqua che costringe a pensare a sistemi portatili di desalinizzazione e apparati di recupero dell’acqua dall’atmosfera. Il progetto è ancora allo studio; è comunque già in piedi un protocollo operativo ma si profila molto costoso, quindi siamo in attesa di sponsorizzazioni e finanziamenti vari.

Cosa ci auguriamo per il futuro? Tante cose, però ne dirò solo tre come nelle fiabe: primo che questa pandemia abbia termine e ci permetta di tornare ad esplorare in giro per il mondo, secondo di avere un po’ più di credito in patria e in ultimo di vincere il nostro terzo Rolex Awards for Enterprise.

Per chi volesse saperne di più c’è il nostro sito web, la pagina Facebook, il nostro profilo Instagram “La Venta Exploring Team” e il canale youtube con alcuni dei nostri filmati.

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