Il moco, dopo più di mezzo secolo di oblio, torna ad abitare gli orti di un gruppo di produttori liguri, anche grazie ad una rara proprietà: la capacità di crescere in scarsità di acqua.
Raccontare la storia del moco significa andare molto indietro nel tempo. Le prime notizie scritte di questo antico legume sono contenute nell’Archivio di Stato della Repubblica di Genova e risalgono alla fine del ‘700, ma si ipotizza che nel savonese, al confine tra le Alpi e gli Appennini, fosse coltivato già nell’Età del Bronzo, quattromila anni fa.
Particolarmente diffuso nella Valle Bormida, in particolare sulle alture di Cairo Montenotte e a Cengio nella frazione Rocchetta, il moco è una varietà di cicerchia (Lathyrus sativus), ma rispetto ad essa è più piccolo. Un legume dotato di notevole rusticità e resistenza ai climi secchi e ai parassiti e che non soffre né i terreni poveri né la siccità.
I fiori variano di colore, dal bianco al rossastro e azzurri, i frutti sono simili a un piccolo pisello ma sono irregolari. I baccelli contengono da uno a tre semi ed i semi essiccati si consumano principalmente in zuppe e minestre.
Semina raccolta e consumo del moco, cosa ci dice la storia
Gianpietro Meinero, segretario della Condotta Slow food Alta Valle Bormida e referente del neonato Presidio, ha spiegato con cura e dettagli la coltivazione e la raccolta di un legume che, storicamente, non è mai mancato negli orti contadini nelle valli attraversate dai tre corsi d’acqua che confluiscono nel fiume Bormida.
“Si seminava, e lo si fa ancora oggi, il centesimo giorno dell’anno, il 10 o l’11 aprile, sessanta giorni più tardi fiorisce e tra la fine di luglio e la metà di agosto si raccolgono i baccelli. Uno dei grandi difetti del moco è che richiede grande lavoro: si semina a mano, si estirpano le erbacce a mano, si raccoglie a mano e non esiste neanche un setaccio che vada bene per tutti i semi, perché hanno dimensioni diverse”
Così, una volta raccolti i baccelli e lasciati ad asciugare al sole per qualche giorno, la prima domenica dopo ferragosto la tradizione vuole che i produttori – quelli che per ora hanno aderito al Presidio sono quattro – si riuniscano attorno a un tavolo e li sgranino a mano: “I semi più piccoli, quelli che tendono a spezzarsi, vengono macinati e trasformati in farina, con cui si prepara una deliziosa farinata – aggiunge il referente dei produttori, Elvio Bonino –. Gli altri, ideali per le zuppe, li confezioniamo interi in sacchettini”.
Il Presidio, risultati incoraggianti ed un futuro da scrivere
I risultati iniziali, a seguito del riconoscimento del moco come Presidio Slow food, sono più che incoraggianti. Soltanto dieci anni fa la coltivazione del moco era scomparsa, nel 2022 si è invece registrata una produzione complessiva di circa un quintale di prodotto.
“Ho ancora in mente quando mio padre mi parlava del moco, negli anni ’50 – ricorda Meinero –. Poi, nel 2011, un anziano del paese mi ha detto che possedeva ancora qualche centinaio di semi. Siccome pochi anni prima avevamo avviato con successo il recupero della zucca di Rocchetta, abbiamo pensato di far lo stesso con il moco: abbiamo dato a un gruppo di amici una trentina di semi ciascuno, il necessario per seminare un metro quadrato di terra, affinché li riproducessero. Così, in breve tempo, siamo arrivati al recupero”.
L’area di produzione del moco delle valli della Bormida comprende i comuni di Cairo Montenotte, Cengio, Millesimo, Dego, Murialdo, Calizzano e Cosseria (Savona).
Il Presidio riunisce piccole aziende agricole, al momento sono 4 i produttori, con l’obiettivo di riportare in vita un prodotto che potrebbe diventare un importante veicolo per la conoscenza di questo territorio e avere ricadute positive sull’economia locale e sull’ambiente: la volontà è quella di coinvolgere produttori nell’intero areale delle Valli della Bormida ed in particolare giovani agricoltori.