Dal Rapporto, in base ai dati del Living Planet Index fornito dalla Zoological Society of London, emerge che, mentre fra le specie di acqua dolce si registra il maggior declino a livello globale, con un calo dell’’83%, drammatico è il bilancio per la fauna selvatica in America Latina e Caraibi, diminuita in media del 94% dal 1970
Il Living Planet Report 2022 del WWF, alla sua quattordicesima pubblicazione, fornisce una panoramica dello stato della biodiversità, dei suoi stretti legami con la crisi climatica, dei fattori umani che la causano e delle potenziali soluzioni a favore della nostra stessa sopravvivenza e benessere.
Il Report, pubblicato ogni due anni, mira quindi a supportare i governi, le comunità, le imprese e le organizzazioni a prendere decisioni a supporto della natura e delle persone: una finestra di opportunità (sempre più stretta) per ripristinare la nostra relazione interrotta con il mondo naturale e offrire un futuro più sano e sostenibile per tutti.
Ciò che emerge è il calo medio devastante subìto dalle popolazioni di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci dal 1970 in tutto il mondo: le popolazioni di fauna selvatica monitorate dal Living Planet Report 2022 sono calate in media del 69%.
Numeri che spaventano
Il Living Planet Report è stato presentato a Villa Lubin, a Roma, sede del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro). Con il suo bacino di dati, che comprende quasi 32.000 popolazioni di 5.230 specie di vertebrati, il Living Planet Index (LPI), fornito nel rapporto dalla ZSL (Zoological Society of London), mostra che nelle regioni tropicali l’abbondanza delle popolazioni di vertebrati selvatici monitorati sta crollando a un ritmo particolarmente sconcertante.
Una tendenza che non può che preoccupare, poiché queste aree geografiche sono tra le più ricche di biodiversità al mondo. In particolare, i dati del LPI rivelano che tra il 1970 e il 2018 le popolazioni di fauna selvatica monitorate in America Latina e nella regione dei Caraibi sono diminuite in media del 94%.
In circa 50 anni, a livello globale le popolazioni d’acqua dolce monitorate sono diminuite in media dell’83%: si tratta del più grande declino di qualsiasi gruppo di specie. La perdita di habitat e le barriere alle rotte migratorie sono responsabili di circa la metà delle minacce alle specie ittiche migratorie monitorate.
Marco Lambertini, Direttore generale del WWF Internazionale, ha commentato: “Ci troviamo di fronte a una doppia emergenza: il cambiamento climatico provocato dall’uomo e la perdita di biodiversità, che minacciano il benessere delle generazioni attuali e future”.
Un appello urgente ai leader mondiali per correggere la rotta
I leader mondiali si riuniranno a dicembre alla quindicesima Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD COP15), un’occasione unica per correggere la rotta per il bene delle persone e del pianeta. Il WWF chiede ai leader di impegnarsi per un accordo in “stile Parigi” in grado di invertire la perdita di biodiversità per garantire un mondo nature-positive entro il 2030.
“Alla conferenza sulla biodiversità COP15 di dicembre, i leader avranno l’opportunità di reimpostare il nostro rapporto con il mondo naturale e di offrire un futuro più sano e sostenibile per tutti, con un ambizioso accordo sulla biodiversità globale che sia nature-positive – ha aggiunto Lambertini –. Di fronte all’aggravarsi della crisi della natura, è essenziale che questo accordo preveda un’azione immediata sul campo, anche attraverso la trasformazione dei settori che causano la perdita di natura, e il sostegno finanziario ai Paesi in via di sviluppo”.
Le specie più colpite
Fra le popolazioni di specie monitorate nell’LPI ci sono i delfini rosa di fiume dell’Amazzonia, le cui popolazioni sono crollate del 65% tra il 1994 e il 2016 nella Riserva di sviluppo sostenibile di Mamirauá, nello stato brasiliano di Amazonas; i gorilla di pianura orientale, il cui numero ha subito un declino stimato dell’80% nel Parco nazionale di Kahuzi-Biega della Repubblica Democratica del Congo tra il 1994 e il 2019; e i cuccioli di leone marino dell’Australia meridionale e occidentale, il cui numero è calato di due terzi tra il 1977 e il 2019.
Andrew Terry, Direttore Conservazione e Politiche dello ZSL, ha dichiarato: “Il Living Planet Index evidenzia come abbiamo distrutto le fondamenta stesse della vita e la situazione continua a peggiorare. Metà dell’economia globale e miliardi di persone dipendono direttamente dalla natura. Prevenire un’ulteriore perdita di biodiversità e ripristinare gli ecosistemi vitali deve essere in cima alle agende globali per affrontare le crescenti crisi climatica, ambientale e di salute pubblica”.
Le cause del declino delle popolazioni di fauna selvatica
Secondo il Living Planet Report le principali cause del declino delle popolazioni di fauna selvatica sono i cambiamenti nell’uso del suolo e del mare, lo sfruttamento eccessivo di piante e animali, il cambiamento climatico, l’inquinamento e le specie aliene invasive, le minacce provenienti da agricoltura, caccia e bracconaggio, e deforestazione sono particolarmente gravi ai tropici; mentre hotspot di inquinamento sono particolarmente importanti in Europa.
Se non si limiterà il riscaldamento a meno di 2°C, o preferibilmente 1,5°C, è probabile che il cambiamento climatico diventi la causa principale della perdita di biodiversità e del degrado degli ecosistemi nei prossimi decenni.
Il rapporto sulla salute mondiale del pianeta chiarisce che non sarà possibile realizzare un futuro nature-positive senza riconoscere e rispettare i diritti, la governance e la leadership nella conservazione dei Popoli Indigeni e delle comunità locali in tutto il mondo.
Luciano Di Tizio, presidente WWF Italia: “I dati del Living Planet Report sono l’ennesimo, drammatico allarme del pessimo stato di salute della biodiversità globale e confermano che il tempo a nostra disposizione per invertire la curva dell’emorragia di natura che contraddistingue la nostra epoca è ormai agli sgoccioli. Senza un cambiamento strutturale nelle nostre politiche, economie, abitudini quasi nessuno degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU (SDGs) potrà essere raggiunto”.
Il rapporto indica che aumentando gli sforzi di conservazione e ripristino, producendo e consumando, in particolare il cibo, in modo più sostenibile e decarbonizzando rapidamente e profondamente tutti i settori sarà possibile mitigare la doppia crisi di clima e natura. Il WWF invita i politici ad impegnarsi per trasformare le economie in modo da dare il giusto valore alle risorse naturali.
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