Il cibo da troppo tempo è divenuto un ulteriore strumento di profitto a svantaggio della salute, delle popolazioni locali e dell’ambiente. Fondamentale tornare a dargli il giusto valore e significato
Il cibo rappresenta un elemento che, dalla sua produzione al consumo, può contribuire a vincere le resistenze, ad aprirsi al nuovo e al differente, a sperimentare forme di contaminazione che incuriosiscano e attirino attenzione.
Il cibo può e deve diventare uno strumento anti-intolleranza: elemento di congiunzione, di dialogo, di inclusione e convivenza pacifica, quanto mai urgente, considerando il progressivo affermarsi nella società occidentale di preoccupanti fenomeni di intolleranza verso cittadini stranieri.
Ma che cosa occorre per riconsegnare al cibo questi valori positivi? Le cosa da fare non mancano: dal ripensare gli stili di consumo alla ricostruzione di tecniche di produzione e di filiere agricole che, riscoprendo i saperi tradizionali, riducano l’impatto ambientale e sociale dell’agricoltura e riaffermino la centralità dei piccoli produttori.
Il cibo per unire, per costruire ponti fatti di dialogo, incontri e confronti. Il cibo per la pace e l’integrazione tra i popoli di culture e religioni diverse. È questo il cuore della giornata di studio organizzata da Regione Lazio, Arsial (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e Innovazione dell’Agricoltura del Lazio) e l’associazione di giornalismo ambientale Greenaccord Onlus a Roma, nell’aula magna Augustinianum, a San Pietro, dove esperti, studiosi e studenti delle scuole alberghiere e agrarie del Lazio hanno discusso di buone pratiche legate al valore e al significato del cibo.
Cibo e cultura
Ernesto di Renzo, storico dell’alimentazione dell’Università di Roma Tor Vergata, nel suo intervento ha sottolineato come “condividere il cibo rappresenti un atto di ingegno e di cultura e mangiare secondo cultura significa stabilire una relazione con chi è con noi”. Il cibo e le cucine, secondo Di Renzo, rappresentano “le prime e promettenti basi del contatto e della conoscenza tra persone di culture diverse”. Un linguaggio universale “che permette di comunicare oltre le barriere”. Il cibo ha un enorme valore simbolico “segna il nostro tempo, la nostra appartenenza di classe e territoriale, ma può essere allo stesso tempo sintomo del male interiore e del disagio psichico contemporaneo quando prende corpo nelle forme di anoressia-bulimia sempre più diffuse”.
Cibo e solidarietà
Particolarmente significativi, proprio per sottolineare come cibo e agricoltura possano diventare fortissimi strumenti sociali, sono stati gli interventi di Salvatore Stingo, presidente della cooperativa sociale Agricoltura Capodarco di Grottaferrata, e Paolo Venezia responsabile di Slow Food Roma. Il primo ha ricordato l’esperienza quarantennale di Agricoltura Capodarco nel dare lavoro a soggetti con difficoltà mentali e fisiche e ad ex tossicodipendenti. 40 persone di 7 nazionalità differenti che hanno potuto riaffermare il loro ruolo nella società attraverso il lavoro in agricoltura. Il secondo ha presentato Tavole Solidali, una rete di iniziative di solidarietà diffuse sul territorio di Roma, pranzi e cene organizzati da chiunque abbia il desiderio e la volontà di farlo. Un modo di condividere un pasto per ripartire dalle relazioni, sedere alla stessa tavola per imparare a conoscersi in maniera conviviale. Il tutto per dare sostegno a Baobab Experience, che in maniera del tutto volontaria offre accoglienza e servizi ai migranti.
Cibo ed identità
Secondo Antonio Rosati, presidente di Arsial, “Il cibo è il più potente fattore sociale contemporaneo, chi lavora intorno al cibo ha la possibilità di fare incontrare le persone, di spezzare la solitudine. In Italia ci sono 5 milioni di poveri, ma anche la contraddizione dell’obesità e dello spreco di cibo. Ecco perché ogni volta che facciamo la spesa possiamo mettere in atto un gesto politico, nel senso nobile del termine, scegliendo prodotti che tutelino il lavoro degli agricoltori, la nostra identità e la terra”.
Cibo e fede religiosa
Una particolare rilevanza ha assunto la tavola rotonda tra i rappresentanti delle principali religioni per spiegare le differenze alimentari tra i diversi culti e favorire il dialogo interreligioso. Cattolicesimo, Ebraismo, Islam e Induismo seduti insieme allo stesso tavolo hanno condiviso il rispetto per il creato e per ogni forma di vita. Chiamati ad intervenire: Sandro Di Castro, presidente della comunità ebraica romana; Yahya Pallavicini, presidente del Coreis (comunità religiosa islamica italiana); Paolo Trianni, teologo cattolico e Svamini Hamsananda, vice presidente della comunità induista.