Attraverso storie, dati e testimonianze di esperti manager delle risorse umane, si vuole offrire una prospettiva concreta sul significato di “buon lavoro” come spazio comune di crescita che dia valore al contributo di ciascuno.
La pandemia, lo smart working, le nuove tendenze nel mondo del lavoro, ma ancora la crisi demografica italiana, la transizione ecologica e digitale, le potenziali ripercussioni dell’intelligenza artificiale sul mondo professionale, le difficoltà di giovani e donne, sempre con un occhio attento al benessere psicologico e organizzativo che ogni lavoratore deve vivere.
Sono queste alcune delle tendenze analizzate nel saggio “Il buon lavoro. Benessere e cura delle persone nelle imprese italiane” di Stefano Cuzzilla, Presidente di Federmanager, Cida e Trenitalia e Manuela Perrone, giornalista de Il Sole 24 Ore.
Il volume, con la prefazione di Ferruccio de Bortoli, edito da Luiss University Press nella collana “Bellissima” curata da Nicoletta Picchio, è stato presentato, lo scorso 25 gennaio, presso la Nuova Aula dei Gruppi parlamentari della Camera dei Deputati.
Un “buon lavoro” non può prescindere da un rapporto di fiducia
Secondo Cuzzilla è fondamentale ridare senso al lavoro, partendo dal rapporto di fiducia tra lavoratori e azienda. Necessario che si affermino parole chiave come flessibilità, agilità e conciliazione, ma soprattutto riconoscimento delle competenze e bilanciamento tra lavoro e vita privata.
“Tutti i modelli organizzativi aziendali – ha sottolineato il Presidente di Federmanager – sono ‘osservati speciali’, perché tra crisi cicliche, avvento di nuove tecnologie e mix generazionali tutto invoca il cambiamento. Ridare senso al lavoro significa partire dal rapporto di fiducia, professionale e umano, che deve legare reciprocamente lavoratori e azienda. ‘Persone al centro’ non è uno slogan, ma un’urgenza”.
I dati che emergono da interviste a responsabili risorse umane, head hunter e manager di agenzie
Manuela Perrone ha voluto sottolineare un mutamento nelle richieste dei lavoratori, con un’attenzione maggiore al work-life balance, alla formazione e ai valori aziendali. Le organizzazioni devono adattarsi a questi cambiamenti e monitorare costantemente gli squilibri nel mercato del lavoro, soprattutto per giovani e donne.
“Dalle nostre interviste a tredici tra responsabili delle risorse umane, cacciatori di teste e manager di agenzie per la consulenza e lo sviluppo professionale – ha sottolineato Manuela Perrone – emerge con nettezza un mutamento profondo nelle richieste dei lavoratori e di chi al lavoro si affaccia per la prima volta.
Soprattutto per i giovani, la retribuzione non è più in cima alla lista dei fattori che orientano le scelte professionali. Conta altro: il work-life balance, la gestione flessibile dei tempi e degli spazi di lavoro, la formazione, i valori, l’attenzione a sostenibilità, diversità e inclusione. Si cerca non il posto fisso, ma il posto giusto, quello che fa stare bene. E cambiare non fa più paura.
Le organizzazioni devono tenerne conto, così come occorre prestare attenzione agli squilibri che connotano il nostro mercato del lavoro. Lo chiamiamo il nodo delle 3G: giovani, genere, geografia. Le donne e i giovani sono il grande potenziale del Paese: aumentare i loro tassi di occupazione significa aumentare crescita e benessere”.
Il saggio promuove la soddisfazione personale e l’importanza del contributo individuale al benessere della comunità. Esplora come trasformare un impiego in un “buon lavoro” attraverso politiche innovative. Secondo l’indagine Federmanager, il 56% dei manager sta lavorando su strategie per migliorare il benessere dei lavoratori, con un’accelerazione dovuta alla pandemia.
Valeria Bucci di Praesidium Spa ha sottolineato l’importanza di un welfare modulare e adattabile alle esigenze dei dipendenti, con una semplificazione delle normative fiscali: “Fare welfare è imprescindibile, ma non è semplice. Gli operatori del settore devono essere in grado di accompagnare le aziende nella costruzione di un welfare non tradizionale ma modulare, basato sulle esigenze e sulle peculiarità dei propri dipendenti, che tenga conto anche delle diverse attitudini generazionali. Per una reale trasformazione è altresì necessaria una semplificazione delle normative fiscali che possa rendere veramente accessibili i piani di welfare”.