Sono state 6 le “raccomandazioni per il green reporting” presentate oggi a Roma dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile nel corso dell’evento “La green economy nel reporting non finanziario”, organizzato con il supporto di Itelyum, leader italiano nell’economia circolare, e in partnership con il Global Compact Network Italia
Il reporting evidenzia i risultati dell’indagine svolta dalla Fondazione per valutare le modalità e la qualità con cui gli aspetti ambientali vengono trattati nelle Dichiarazioni Non Finanziarie (DNF) delle imprese italiane. L’indagine ha interessato 130 imprese delle oltre 200 obbligate a rendicontare informazioni non finanziarie nel rispetto del D.Lgs. 254 del 2016.
Le DNF delle imprese del campione sono state interrogate sulla base di una griglia di 86 indicatori chiave. Al centro dell’indagine i temi caldi dell’attualità: cambiamento climatico, economia circolar, risorse naturali e biodiversità. Le 6 raccomandazioni vogliono costituire un suggerimento importante per completare il green reporting e sopperire alle principali criticità emerse dall’indagine.
“La transizione alla green economy richiede il pieno coinvolgimento del mondo delle imprese. – ha dichiarato Edo Ronchi, Presidente della Fondazione sviluppo sostenibile – Questo necessariamente richiede agli imprenditori di innovare approcci e strumenti, inclusi quelli legati alla rendicontazione non finanziaria. Con questa indagine abbiamo voluto verificare il livello raggiunto dagli attuali strumenti di rendicontazione in relazione ai criteri e agli obiettivi di green economy. Ne sono scaturite 6 raccomandazioni che mi auguro possano essere utili alle imprese per trasformare il reporting in un efficace strumento di orientamento strategico e di innovazione green dei propri modelli di business”.
Green reporting, le 6 raccomandazioni
- Dare più spazio alle tematiche ambientali: planet first!
- Dal processo al prodotto: mettere al centro la qualità ambientale dei beni e servizi.
- Obiettivi e target: misurare le proprie performance ambientali.
- Climate action: misurare e ridurre la carbon footprint di processo e di prodotto.
- Circular economy: orientare il modello di business in chiave circolare.
- Capitale naturale e biodiversità: un nuovo patto tra imprese e territorio.
Il quadro emerso e i dettagli dello studio
Lo studio ha evidenziato passi particolarmente importanti. Soprattutto in considerazione degli obiettivi proposti dall’agenda 2030 di fronte a cui aziende e società non possono fare più finta di niente. Nello specifico è possibile rilevare che:
la dimensione ambientale è sempre presente negli strumenti di reporting non finanziario, ma raramente viene rappresentata in modo adeguato. Nelle liste e matrici di materialità delle imprese, il 21% degli aspetti indicati sono di tipo ambientale, e degli indicatori totalmente rendicontati il 33% riguardano performance ambientali.
Con riferimento agli impatti ambientali derivanti dalle proprie attività, le imprese sono consapevoli dell’importanza di misurarli e monitorarli, tuttavia tali misurazioni ricoprono nella maggior parte dei casi un perimetro limitato all’attività degli uffici e dei processi produttivi, tenendo fuori i beni e servizi.
Sono, invece, proprio i prodotti gli artefici dei maggiori impatti ambientali negativi, ma solo l’8% delle imprese valuta in qualche modo le performance ambientali di questi ultimi. Mentre l’11% rendiconta interventi di miglioramento delle performance di circolarità sul design del prodotto o sul proprio modello di business.
Il 92% delle imprese rendiconta serie storiche delle proprie emissioni di gas serra, un dato alto, ma solo il 35% delle imprese rendiconta le proprie emissioni nel perimetro più ampio della propria catena del valore (Scope 3).
In ottica di economia circolare solo l’11% delle imprese rendicontano interventi di miglioramento della performance di circolarità a partire dal design del prodotto o sul proprio modello di business. Sono invece il 28% le imprese che rendicontano le percentuali di approvvigionamento di materia prima riciclata e il 31% quelle che descrivono le azioni tese al ridurre l’utilizzo di materia prima vergine.
Nonostante il tema della biodiversità sia toccato dal 45% dei report analizzati, appena il 12% delle imprese lo considera materiale. La perdita della biodiversità, la ridotta funzionalità degli ecosistemi, la diminuzione della resilienza ecologica possono retroagire sulle imprese e sulle filiere produttive, generando nuovi rischi e richiedendo strategie e azioni differenti.
Per questo è importante che le imprese misurino e siano consapevoli dei propri potenziali fattori di impatto sul contesto ambientale e della loro relazione con la biodiversità: attualmente solo l’8% delle imprese effettua tale tipo di rendicontazione.
Cosa fare?
Secondo Antonio Lazzarinetti, Presidente di Itelyum, gruppo leader nell’economia circolare, “è necessario applicare al green reporting indicatori omogenei per poter misurare l’operato non solo della singola azienda ma anche di gruppi di imprese come avviene nella rendicontazione finanziaria – ha dichiarato – Ciò consentirà di misurare le performance di settori omogenei, nell’industria manifatturiera e in quella dei servizi, e di fornire alle istituzioni elementi preziosi per lo sviluppo di politiche industriali orientate alla sostenibilità”.
Per Marco Frey, Presidente della Fondazione Global Compact Italia, “la sostenibilità sta acquisendo rapidamente rilevanza strategica e il tema dell’accountability è in una fase di evoluzione ben descritta nell’analisi svolta dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, che si è in particolare concentrata sulla dimensione ambientale. Le imprese sono infatti chiamate, anche dal mondo della finanza, a fornire una rappresentazione sempre più rigorosa del loro contributo alle sfide globali che l’Agenda 2030 ha tracciato”.
Il documento “6 Raccomandazioni per il green reporting” e la versione integrale dell’indagine con i risultati degli 86 indicatori sono scaricabili online dalla sezione pubblicazioni del sito www.fondazioneperlosvilupposostenibile.org.