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Gaza, chiesto mandato di arresto per Netanyahu e Sinwar: cosa succede ora

(Adnkronos) – Dopo la richiesta del procuratore capo della Corte penale internazionale (Cpi) Karim Kahn ai giudici di emettere mandati di arresto internazionale nei confronti del
primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del leader di Hamas a Gaza Yahya Sinwar per crimini di guerra e crimini contro l'umanità, "occorrerà attendere la decisione della Corte, che non ha tempi stabiliti, sebbene non possano trascurarsi le esigenze, anche di celerità di applicazione, legate alla misura richiesta". A dirlo all'Adnkronos è l'avvocato Marco Valerio Verni, referente area Diritto di 'Difesa Online', spiegando le implicazioni e i prossimi passaggi legati alla richiesta. In particolare ad essere investita della questione è la "Pre-Trial Chamber I: una sorta di giudice collegiale per le indagini preliminari, per fare un parallelismo 'sui generis' con il nostro ordinamento, che dovrà verificare la fondatezza della richiesta e, in particolare, le motivazioni ad essa sottese". "Generalmente parlando esse possono riguardare, in linea generale, intanto la sussistenza di fondate ragioni che, effettivamente, un reato possa essere stato commesso dalle persone incriminate e nei cui confronti viene chiesto l'arresto", prosegue il legale secondo il quale c'è poi la necessità di evitare che si "continuino magari a commettere i reati dei quali sono accusate o che possano compromettere la genuinità delle stesse indagini".  A ciò si aggiunge la necessità di "assicurare la loro partecipazione all'eventuale processo, visto che la Corte Penale internazionale può procedere solo in presenza delle persone accusate. All'esito, la richiesta del procuratore potrà essere accolta o rigettata". "Nel primo caso, Netanyahu, in particolare, ed il ministro della Difesa israeliano, ove dovessero recarsi in qualche Stato che abbia aderito allo Statuto della Corte Penale Internazionale, potrebbero, a quel punto, essere fisicamente fermati e consegnati alle autorità competenti", sottolinea l'avvocato.  "Stante la portata storica della suddetta (il riferimento è,in particolare,al primo ministro israeliano ed al suo ministro della difesa), sono tante le pressioni intorno ai magistrati interessati alla questione – osserva il referente area Diritto di 'Difesa Online' – tanto è vero che Khan ha ritenuto doveroso chiedere che tutti possano svolgere il proprio lavoro con serenità. Lo stesso alto magistrato ha avvisato che, in caso contrario, sarà disposto anche a ricorrere all'articolo 70 dello Statuto della stessa Corte, che prevede la possibilità di esercitare la propria azione anche contro chi dovesse ostacolare, pure con minacce, pressioni o intimidazioni, il lavoro sereno ed imparziale della Corte". "Ad ogni modo bisogna ricordare che, a prescindere da quello che sarà l'esito di tale richiesta, qualsiasi persona indagata e, poi, imputata, anche di fronte alla Corte Penale Internazionale, deve ritenersi innocente fino a che non sia intervenuta, ed in via definitiva, una sentenza di segno contrario", precisa l'avvocato.  Riguardo al fatto che Israele è nel ristretto gruppo di Paesi che non riconosce la Corte Penale Internazionale, la Corte penale "già si è espressa". La "Camera preliminare I, il 5 febbraio 2021, ha deciso che la Corte possa esercitare la sua giurisdizione penale sulla situazione nello Stato di Palestina, estendendosi essa fino a Gaza e alla Cisgiordania, compresa Gerusalemme est – ricorda Verni – Di conseguenza, anche i fatti occorsi il 7 ottobre 2023 e tutti quelli che ne sono seguiti, rientrano nell'alveo investigativo del Tribunale in questione. Inoltre, la Corte ha giurisdizione anche sui crimini commessi da cittadini di Stati parte e da cittadini di non Stati parte sul territorio di uno Stato parte. E la Palestina ha ratificato il trattato istitutivo della Corte Penale Internazionale nel gennaio 2015, ed è, da allora, annoverata tra gli Stati parte".  —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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