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Etichetta Geologica: valorizza ciò che mangiamo e beviamo

Immaginiamo una piccola (grande) scena: seduti nel nostro ristorante preferito, magari a Roma, sorseggiamo con gusto un certo vino, magari il Moscatello di Taggia, passito di alta gradazione coltivato in Liguria fino alla fine del 1800 e ora recuperato

Ci prendiamo una pausa e inquadriamo con il nostro smartphone il QRCode della particolare etichetta sulla bottiglia e in un battito di ciglia veniamo proiettati in quel territorio lontano da noi un bel po’ di km in cui andiamo a conoscere storia, cultura, coltivazioni… Bello no?

E possibile, grazie all’Etichetta Geologica di Prodotto che, proprio attraverso il QRCode, appunto, collega al sito dello spin off GeoSpectra, messa su da un gruppo di lavoro e ricerca dell’università di Genova. Lo hanno fondato due professori che di terreni ne sanno, eccome: Pietro Marescotti, docente di Georisorse Minerarie e Applicazioni Mineralogico-Petrografiche per l’Ambiente e i Beni Culturali del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ambiente e della Vita – Distav, e Gerardo Brancucci, che si definisce un geologo “prestato” all’architettura, visto che insegna al dipartimento di Architettura e Design – Scuola Politecnica – Dad. Proprio con lui abbiamo scambiato quattro (assai significative) chiacchiere.

Come nasce l’idea dell’Etichetta Geologica di Prodotto

L’idea dell’etichetta geologica si sviluppa riflettendo sulle analisi effettuate sui vari elementi di composizione del suolo in occasione di diversi scavi e lavori di movimenti terra per individuare la presenza di eventuali sostanze in dosi superiori alla norma, come cromo, rubidio, amianto.

Ai professori nasce spontanea la domanda: ma questa roba non possiamo esportarla anche per analizzare i suoli agricoli? E ancora: non sarebbe utile conoscere esattamente i terreni da ogni angolazione, chimica, mineralogica, litologica, così da certificare dal punto di vista geologico quel determinato prodotto che valorizza ancora di più se stesso poiché nasce da un terreno tipico, esistente solo lì e non altrove?

Così, racconta il professor Brancucci, “decidiamo di iniziare analizzando i suoli di certe fungaie nella zona di Savona. Contattiamo un gruppo di chef che cucinando e assaggiando i funghi, confermano come il loro sapore vari in base alla composizione mineralogica del terreno di riferimento. Prove e controprove, il risultato è sempre lo stesso e cioè che il gusto dipende dal suolo.

“Sperimentiamo pure su una particolare varietà di mela, la Rotella, dalla forma un po’ schiacciata, tipica della Lunigiana”, continua Brancucci. “In una stessa tenuta da una parte crescono mele belle ma dure, in un’altra marciscono sull’albero. Parliamo con gli agronomi e veniamo a sapere che tra le sostanze con cui vengono trattate c’è il calcio, il minerale determinante tra l’altro per la croccantezza. Le nostre analisi evidenziano che nel terreno di calcio già ce n’è: la sua distribuzione irregolare determina un eccesso nel terreno dove i frutti crescono duri, un’insufficienza poiché il suolo non lo trattiene lì dove ci sono gli esemplari marciti. Il problema anzi i due problemi sono stati allora risolti con una ridistribuzione mirata del calcio, in base alle diverse composizioni dell’insieme del suolo”.

Uno stretto legame tra prodotti, suolo, gusto

Insomma queste considerazioni ed esperienze sul campo rendono sempre più netta la consapevolezza della necessità di trovare una modalità per certificare lo stretto legame tra prodotti e suolo.

L’Etichetta Geologica di Prodotto non fa concorrenza alle Doc, Dop, Igp, tutt’altro, “è una garanzia per il consumatore poiché gli fornisce ulteriori informazioni sul terreno da cui proviene e fornisce quindi veramente la sicurezza “territoriale”, la tipicità geologica di provenienza”, sottolinea Gerardo Brancucci.

E non è certo poco. Ad esempio, per stabilire le caratteristiche di un certo vitigno si fa l’analisi sul suo dna ma nulla vieta che esso sia stato trasportato e coltivato magari in Tunisia, mantenendo la sua identità, certo, ma non al 100% di quella che avrebbe se coltivata lì dove è nato, coltivato, curato nel corso del tempo e su quel preciso terreno, assorbendone clima, cultura, storia, modalità di coltivazione.

Questo marchio EGP (appunto Etichetta Geologica di Prodotto) rappresenta una forma di certificazione volontaria delle condizioni geologiche del territorio di coltivazione di prodotti agricoli, riuscendo a evidenziarne la peculiarità proprio grazie alla composizione geologica. E serve anche a capire come gli elementi chimici si distribuiscano in tutto il territorio di una determinata coltura, dando utili notizie agli esperti su come intervenire per ottimizzare i trattamenti, come nel caso della mela Rotella. Addirittura è possibile creare una cartografia dedicata in una stessa tenuta, evidenziandone le diversità geologiche e chimiche e agendo meglio tra quelle che hanno più o meno bisogno di un determinato elemento.

“L’analisi si fa su un pugno di terra, tanto che in una giornata si può analizzare tutta una tenuta. Si esegue con uno spettrometro XRF portatile a raggi X. Nato per applicazioni minerarie permette pure tarature ad hoc, cercando in modo mirato i vari elementi presenti in un suolo”, spiega Gerardo Brancucci.

L’Etichetta Geologica di Prodotto può naturalmente essere esportata a qualsiasi alimento e per consumatori e produttori è sicuramente un insieme di informazioni da conoscere, assolutamente.

Tra i vini che si pregiano dell’EGP, c’è il Roccese dell’azienda A Trincëa, nato sulle rocce, quello rosso “è da meditazione”, sottolinea il professore. Ed è collegato a tutto un progetto di recupero del terreno di Airole, Imperia, dove continua a dare il meglio di sé prendendo il nutrimento dalla composizione geochimica di quel territorio che ne fa un prodotto unico e tipico, naturalmente.

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