L’Eichhornia crassipes, pianta acquatica galleggiante di rara bellezza, con infiorescenze raggruppate in spighe dal colore lilla tendente al blu
Le foglie sono composte da un picciolo ricco di parenchima aerifero (sfruttato per il galleggiamento) ad elevata produttività: parliamo del giacinto d’acqua, che trova il suo ambiente naturale sulla superficie di laghi, fiumi e canali.
Il Giacinto d’acqua, una specie che viene da lontano
Nell’ultimo decennio questa specie vegetale, E. crassipes ha attirato molto l’interesse scientifico. Originaria del Sud America, con il suo incantevole fascino ornamentale è stata introdotta dall’uomo in Africa, Asia, Sud Pacifico, Nord America ed Europa, dove è diventata invasiva.
Questa specie, infatti, che in primavera dà spettacolo con la sua fioritura, può essere dannosa dal punto di vista socio-economico, della biodiversità e della salute. In alcuni casi la sua notevole capacità di moltiplicarsi è diventata un serio problema. Ai tropici, per esempio, le alte temperature e la mancanza di predatori hanno portato al suo sviluppo incontrollato. Un aspetto rilevante che fa sì che per debellare E. crassipes si investano spesso capitali ingenti.
In Europa la pianta è stata inclusa nell’elenco di specie esotiche invasive (REGOLAMENTO DI ESECUZIONE UE 2016/1141 DELLA COMMISSIONE del 13 luglio 2016 che adotta un elenco delle specie esotiche invasive di rilevanza unionale in applicazione del regolamento UE n. 1143/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio).
Il fitoaccumulo di inquinanti metallici
“Tuttavia — affermano gli autori dello studio — il giacinto d’acqua non è solo una pianta invasiva e dannosa, ma è anche una pianta utile con notevole capacità di fitoaccumulo di inquinanti metallici. E. crassipes riesce a bioconcentrare metalli tossici come cromo, rame, cobalto, nichel, zinco, piombo, cadmio e arsenico nel suo apparato radicale”.
Oltre a essere in grado di rimuovere l’inquinamento dalle acque industriali, questa erbacea perenne è risultata anche capace di estrarre strategicamente metalli come il palladio mediante rizofiltrazione (dal greco rhíza “radice”).
Un esito dai risvolti interessanti, che fornisce un metodo efficace e semplice per recuperare elementi preziosi e costosi. “Infatti — specificano gli esperti — poiché non è stata osservata traslocazione durante l’assorbimento, le radici sono state separate dal resto dell’impianto al fine di riciclare i metalli”.
Altre ricerche scientifiche, inoltre, hanno descritto la possibile degradazione, da parte del giacinto d’acqua, del bisfenolo A, sostanza chimica usata prevalentemente in associazione ad altre per produrre plastiche e resine, e hanno dimostrato la capacità della specie di assorbire composti inorganici non metallici, quali nitrato, ortofosfato, nitrito e ammonio.
Un aiuto anche per acque contaminate da inquinanti organici preoccupanti?
Nello studio, condotto da ricercatori del Laboratory of Bio-inspired Chemistry and Ecological Innovations dell’Università di Montpellier, Francia, in collaborazione con IEM, CNRS – Università di Montpellier – ENSCM, gli scienziati hanno ipotizzato che E. crassipes sia in grado di fitoaccumulare gli ftalati, famiglia di sostanze chimiche organiche.
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Il team, inoltre, ha testato le capacità di accumulo, mediante rizofiltrazione, del giacinto d’acqua vivente e, in secondo luogo, ha essiccato le radici in forma di polvere per valutare il biosorbimento in soluzioni arricchite con due gruppi di inquinanti organici emergenti: interferenti endocrini e neonicotinoidi.
Quattro i diversi tipi di inquinanti organici selezionati per testare le capacità di bioaccumulo: di-n-esilftalato, pentabromodifenil etere, nitenpyram e acetamiprid.
Fitorisanamento e gestione dell’inquinamento con mezzi naturali, nuove prospettive
I risultati non hanno tardato ad arrivare. Dopo un breve periodo di esposizione, gli studiosi hanno rilevato i contaminanti analizzati nel sistema radicale di E. crassipes.
Il lavoro, per la prima volta, dimostra che il giacinto d’acqua è in grado di bioconcentrare inquinanti organici emergenti come interferenti endocrini e neonicotinoidi. La pianta acquatica può essere usata come bioindicatore dell’inquinamento, ma anche come strumento di bonifica naturale a condizione che sia introdotta in un ambiente controllato e in polvere.
“Utilizzare l’apparato radicale in forma di polvere — chiariscono e concludono gli autori della ricerca — presenta tre interessanti soluzioni a importanti problemi ambientali: può prevenire la dispersione nell’ambiente di inquinanti organici emergenti, l’uso di piante morte polverizzate invece di piante vive impedisce lo sviluppo di installazioni complesse di rizofiltrazione […], e la metodologia sviluppata si basa sull’uso di biomassa proveniente da piante abbondanti”.
Il metodo, quindi, potrebbe rappresentare un modo sostenibile di gestire la biomassa derivante dalla diffusione di E. crassipes.