“Per milioni di anni la corsa è stata il nostro migliore sistema di locomozione – e l’unico”. Correre. Una storia naturale (Piano B, 18 euro, 294 pag.) di Bernd Heinrich, ottantaduenne zoologo e maratoneta instancabile, segna il passo su cosa significhi davvero muoversi velocemente nella storia dell’uomo
Bernd Heinrich, professore emerito di Biologia dell’università del Vermont e tra i più celebri e apprezzati zoologi e biologi viventi, è stato uno dei primi ultramaratoneti statunitensi, e oggi, a ottantadue anni, compete ancora in maratone e ultramaratone. I suoi libri tradotti in tutto il mondo hanno ricevuto numerosi premi.
A quarant’anni, Bernd Heinrich vuole provare a realizzare il suo sogno: correre, e possibilmente vincere, il campionato nazionale dei 100 chilometri, il più prestigioso evento di ultrarunning statunitense.
Correre, un libro che prende esempio dagli animali
“Sono uno zoologo di professione e mi è sembrato naturale guardare ad altre specie di “atleti di resistenza”, per capire perché lo fanno e come ci riescono, e per trarne suggerimenti su come allenarmi al meglio”
Heinrich – alternando antropologia, biologia, psicologia, filosofia e spunti biografici – fonde l’esperienza concreta di corridore con la biologia umana e con le idee apprese dai suoi studi di zoologia, per capire che cosa ci rende diversi dagli altri animali e che cosa abbiamo in comune.
Un corridore umano deve prendere molte decisioni strategiche: in alcuni casi può affidarsi alla scienza, e guardare ai modelli animali come sua guida. Che cosa possiamo imparare dal modo in cui gli altri animali affrontano le loro sfide di ultra-resistenza?
Cosa potrebbero insegnarci gli insetti, creature così diverse da noi che non hanno vene, né fegato, né polmoni, né reni, non sudano e non usano il sangue per trasportare ossigeno e tuttavia per sopravvivere devono risolvere problemi simili ai nostri, dimostrandosi per molti aspetti le creature più efficienti del regno animale.
Oppure gli uccelli, gli ultramaratoneti del cielo che in autunno e in primavera si levano in volo per affrontare viaggi di migliaia di chilometri, spesso attraversando oceani e deserti. Come fanno questi esseri, fatti di carne e sangue come noi, a compiere simili imprese?
O il segreto dell’ultra resistenza del dromedario che rappresenta per gli ultrarunner una fonte d’ispirazione quasi unica nel regno animale. E ancora le prodezze podistiche dell’antilope che con il suo entusiasmo innato per la corsa è capace di raggiungere i cento chilometri orari ed è stata proclamata il miglior corridore di resistenza che sangue, muscoli e ossa possano mettere insieme. Ma che cos’ha l’antilope che noi non abbiamo? E come è riuscita ad acquisire capacità tanto straordinarie?
Un libro, insomma, che si legge con piacere e che ad ogni capitolo incuriosisce perché svela. Con un linguaggio immediato, mai accademico, che invita a riflettere ad ogni pagina.
Come quando l’autore scrive, nel paragrafo dedicato agli uccelli, “Gli ultramaratoneti del cielo”: “Molti uccelli attraversano mari e deserti bollenti dove bere e rifocillarsi è quasi impossibile. Devono quindi portarsi addosso tutte le riserve liquide ed energetiche necessarie. Quando usato come carburante, il grasso rilascia acqua come suo sottoprodotto”. Ha ragione Goethe: “La natura non ha né nocciolo né guscio: è tutto allo stesso tempo”.
Correre, una storia che abbraccia sei milioni di anni
La nostra storia di corridori bipedi abbraccia almeno sei milioni di anni da quando i nostri antenati abbandonarono i boschi per le pianure, e la sudorazione ci permise di correre per lunghi periodi di tempo nella morsa del caldo africano. Ma non furono solo le nostre ghiandole sudoripare a renderci dei superbi predatori di resistenza: anche le nostre menti, alimentate dalla passione, giocarono un ruolo decisivo. A parità di altre condizioni fisiche, i cacciatori che nutrivano più passione erano coloro che resistevano più a lungo sul sentiero. Erano coloro che provavano il piacere di esplorare, di spingersi oltre. Erano coloro che non si fermavano quando avvertivano i segni della fatica e del dolore, perché i loro sogni li facevano andare avanti. Erano i nostri antenati.
Oltre alle abilità fisiche, la corsa di resistenza fa accedere a un piano spirituale, ancestrale, in cui la spinta a continuare a correre non viene spiegata dal solo bisogno di cacciare. Una gara è come una battuta di caccia.
Finire una maratona, battere un record, compiere una scoperta scientifica, dipingere un’opera d’arte – sono tutte cacce sostitutive che richiedono e mettono in mostra il corredo psicologico del predatore di resistenza, sia nella pratica che nella teoria. Le migliori cacce: quelle che portano un’evoluzione dell’umanità. Non quella a danno di creature che non possono difendersi.
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