La problematica principale riscontrata nei mesi di lockdown è chiaramente quella relativa all’impossibilità di svolgere attività all’interno degli immobili locati
L’obbligatoria chiusura della maggior parte degli esercizi commerciali, coniugata alla inevitabile flessione della redditività delle attività commerciali, ha determinato un seria difficoltà per molti esercenti ad adempiere al pagamento dei canoni di affitto.
Per poter trovare una possibile soluzione che riesca a coniugare le esigenze dei locatori (giustamente legittimati a percepire quanto pattuito) e dei conduttori (ragionevolmente preoccupati per il calo del fatturato), proviamo a chiarire quanto statuito sul tema.
Disposizioni codicistiche e “soluzioni” del Governo
C’è da sottolineare, preliminarmente, che risulta impossibile (allo stato attuale) applicare quanto statuito dal Codice Civile nel trattamento di situazioni similari. In particolare, viene esclusa l’applicabilità dell’art. 1464 c.c. e relativa all’ “impossibilità parziale sopravvenuta”.
Quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta e può recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.
Ebbene, l’emergenza coronavirus non ha determinato la parziale impossibilità della prestazione dovuta dal locatore e non può tanto meno ritenersi violato l’obbligo del locatore di consegnare e mantenere il bene in condizione da essere utilizzato secondo quanto stabilito dall’art. 1575 c.c. Parallelamente, si ritiene non applicabile altresì quanto previsto dall’art. 1467 c.c. “eccessiva onerosità sopravvenuta”.
L’immobile concesso in locazione, infatti, non ha diminuito il proprio intrinseco valore locativo nel periodo interessato dalla pandemia e, comunque, l’eccessiva onerosità risulta determinata da condizioni soggettive attribuibili al conduttore (anche se hanno interessato gran parte della popolazione). Non è dunque sufficiente, quale causa giustificativa, la mera difficoltà economica della parte tenuta all’adempimento.
L’istituto in questione, però, potrebbe essere d’aiuto nella soluzione di alcune problematiche emerse conseguentemente allo stato emergenziale. L’articolo anzidetto, infatti, prevede altresì la possibilità che la parte tenuta all’obbligazione di pagamento ritenuta eccessivamente gravosa, possa richiedere la risoluzione del contratto. Il locatore, però, avrà la facoltà di evitare la risoluzione proponendo di modificare le condizioni contrattuali allo scopo di ristabilire l’equilibrio tra le parti.
Esclusa la possibilità di rintracciare una possibile e concreta soluzione al problema all’interno delle disposizioni del Codice civile, cerchiamo di analizzare quanto statuito dal Governo durante la pandemia.
Sul punto, l’unico provvedimento adottato dal Governo è l’art. 65 del d.l. 18 del 2020 in base al quale viene riconosciuto agli esercenti attività di impresa un credito di imposta nella misura del 60% dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1”.
Su tale aspetto, è altresì intervenuta la circolare n.8 E di Agenzia delle Entrate la quale ha fornito delucidazioni sul credito di imposta per le locazioni commerciali di negozi e botteghe di cui all’art. 65, d.l. n. 18/2020. E pertanto, il credito d’imposta pari al 60% del canone di locazione del mese di marzo 2020, è riconosciuto solo sui canoni effettivamente pagati; un canone di locazione non pagato non produrrà il credito d’imposta.
La normativa, poi estesa per contenuto applicativo e periodo di interesse, in realtà non ha trovato una soluzione concreta, limitandosi ad aggirare la problematica incidendo esclusivamente sulla possibilità di uno sgravio fiscale.
Possiamo quindi ragionevolmente concludere che quanto statuito dal Governo, in realtà, non ha fattivamente risolto le complicazioni sottese allo squilibrio contrattuale ingeneratosi e, pertanto, le soluzioni andranno ricercate altrove.
Una possibile soluzione: conciliazione e buona fede
Stante l’impossibilità di rinvenire all’interno dell’ordinamento una soluzione concreta e di facile realizzazione, non ci resta che ricorrere al canone della ragionevolezza e della buona fede per poter risolvere le problematiche connesse al rapporto locatore – conduttore.
Gli istituti giuridici presenti nel nostro ordinamento non sono in grado di fornire risposte tempestive e, l’eventuale ricorso agli ordinari strumenti giuridici presenti, determinerebbe lungaggini e conflittualità che non aiuterebbero (per lo meno nel breve periodo) a trovare soluzioni concrete.
Ebbene, a nostro parere, sembra che la rinegoziazione dei contratti di locazione (in termini bonari e nel pieno rispetto di ENTRAMBE le parti contrattuali) sia la soluzione più equa per il soddisfacimento di locatori e conduttori.
Presupposto fondamentale per poter usufruire di un concreto potere di rinegoziazione contrattuale è che quest’ultimo non risulti manifestamente illogico o assolutamente ingiustificato, nel grossolano tentativo di cavalcare l’onda pandemica per rimodulare, a proprio piacimento, le disposizioni contrattuali.
Per poter facilitare l’accordo tra le parti contrattuali sarà sicuramente necessario l’ausilio di mediatori competenti e, perchè no, il ricorso a metodi alternativi di risoluzione delle controversie.
Articolo curato dalla redazione e realizzato con il contributo di Ludovica Del Moro.
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