Chicetnic è un nuovo brand made in Madagascar che si lega al savoir faire della tradizione artigianale italiana. I fondatori sono infatti l’italiana Paola Mello con il suo fondamentale collaboratore malgascio Gédéon
Il fascino della creatività dell’artigianato del Madagascar cattura Paola che ha già un passato lavorativo nell’ambito della moda. Da qui l’idea di un progetto che possa valorizzare tale creatività, legandola alla sapienza dell’artigianato italiano.
Risultato di quest’idea è una prima collezione fatta di accessori donna e di componentistica di arredamento casa. Il tutto con uno sguardo rivolto alla sostenibilità. Una sostenibilità che il brand made in Madagascar intende prima di tutto a livello sociale. E ciò, partendo dall’utilizzo delle materie prime del posto. Ma anche dalla scelta di avere un piccolo team con artigiani in condizioni lavorative positive e giustamente retribuiti.
Che tipo di sostenibilità?
Una sostenibilità che noi di Green Planet News abbiamo voluto approfondire. Ci siamo chiesti come possa coincidere tale sostenibilità con l’utilizzo di materiali come il corno di zebù. Soprattutto da un punto di vista etico ed emotivo. Ed è per questo che siamo andati a chiederlo direttamente a Paola Mello. Una sostenibilità che va dai processi di produzione, alla creazione di una rete di donne artigiane e che porta il brand a volersi fare tramite di un messaggio prima ancora che dei suoi prodotti.
Un marchio che vorrebbe dimostrare il plusvalore di un artigianato etnico, di un artigianato proveniente da un qualsiasi paese. Mescolandosi, perché no, alla sapienza di una tradizione artigianale più conosciuta, in questo caso, quella italiana.
Come nasce il progetto made in Madagascar?
Lo scorso anno, dopo una serie di viaggi fatti in Madagascar, in cui ho scoperto che c’era già un artigianato locale molto variegato, interessante e poco conosciuto. Mi è venuta voglia, per il mio passato legato a un lavoro fatto nella comunicazione nell’ambito della moda, di scoprire qualcosa in più e di farlo conoscere anche al di fuori. Allora, dopo una serie di riflessioni per cercare di capire se la cosa era realizzabile abbiamo deciso io, dal mio lato italiano, con la preziosa collaborazione del mio socio Gédéon che invece è di origine malgascia, di aprire giù in Madagascar questo atelier in cui facciamo l’80% di quelli che sono tutti i nostri prodotti, compresa la concia del cuoio che viene fatta direttamente da noi.
L’idea è nata proprio da una curiosità personale, da una fascinazione rispetto ad un artigianato che già c’è ed è di base molto creativo. Il problema sostanziale è che gli artigiani malgasci producono per vendere ad altri malgasci. Ci sono i mercati locali grandissimi in cui si trovano tanti prodotti che sono assolutamente poco curati. In cui magari c’è la borsa con la fodera di plastica o non c’è proprio la fodera. E poichè il prezzo deve restare molto basso non c’è un’attenzione alle materie prime, non c’è attenzione ai dettagli di produzione e puoi trovare i prodotti incollati e non cuciti.
Ma la creatività c’era e quello che noi volevamo fare prima di tutto, era non snaturare questa creatività, ma valorizzarla. Dando però gli strumenti per arrivare a dei prodotti che fossero vendibili, che fossero degni di essere conosciuti e apprezzati dappertutto.
Entrando più nello specifico: cosa si produce e quali sono i materiali che vengono utilizzati per questi prodotti?
La nostra produzione si divide in due macro-filoni: uno riguarda gli accessori per la persona, il nostro target è più femminile, quindi borse, bracciali, produrremo anche alcuni capi di vestiario e collane. Insomma, tutto ciò che è accessorio donna. E poi un altro grande filone che è invece quello della componentistica dell’arredo per la casa: cuscini, tappeti, posate in legno, centrotavola, tovaglie e tutto ciò che è tovagliato.
Per quanto riguarda i materiali, volontariamente, si tratta di materie prime prodotte in Madagascar e provenienti dal Madagascar. Per esempio, per quanto riguarda la parte di componentistica per la casa abbiamo il legno autoctono del Madagascar. Noi scegliamo in particolare il palissandro, che non è una delle specie inserite tra quelle a rischio di estinzione, ovviamente. È un palissandro locale, ma molto pregiato. Utilizziamo corna di zebù, che sono l’equivalente della mucca.
Non viene ovviamente uccisa appositamente, ma si tratta di scarti che andiamo a recuperare e a smaltire in questo modo. Poi abbiamo la juta che viene da piante selvatiche di Corchorus che crescono in natura. Lo stesso vale per il sisal che viene usato per tessere tappeti e cose similari e che viene dalle foglie dell’agave e anche quella cresce in natura.
Il cotone sostenibile
Il cotone proviene anche quello dal sud del Madagascar. Ci forniamo da una delle più grosse aziende autoctone malgasce che fa parte di un progetto per cotone BCI, Better Cotton Iniziative. Un consorzio di piccoli produttori che coltivano il cotone in modo più sostenibile sia per le persone, che hanno paghe più alte, non vengono sfruttati bambini o donne in gravidanza. Sia per i trattamenti che vengono dati sulle piante, e che non vengono dati sempre, ma solo in casi di estrema necessità e cioè per qualche insetto che magari sta rovinando le piantagioni. Anche il cotone che viene utilizzato, fa parte di questo circuito.
L’ultimo elemento che ancora non fa parte di questa collezione, ma che speriamo ne faccia presto parte e che abbiamo ovviamente in mente di produrre, è la seta selvaggia del Madagascar. La seta selvaggia del Madagascar è molto pregiata, particolare, è quella che viene utilizzata in misura minore proprio perché i bachi da seta non sono allevati come in altre parti del mondo. Vengono raccolti da queste signore malgasce, da questi gelsi che si trovano in natura con una produzione che è molto piccola, ma molto pregiata, e tutto viene fatto a mano.
La Concia Vegetale
Ovviamente poi c’è il cuoio, elemento fondamentale delle borse. Facciamo direttamente noi la concia, compriamo le pelli dalle macellerie, quindi c’è il discorso degli elementi che altrimenti sarebbero di scarto, come per il corno di zebù e che noi recuperiamo. Abbiamo le vasche per la concia in atelier dove le pelli vengono trattate interamente lì. La fase di concia lunga, viene fatta tutta con la corteccia di mimosa. Ci sono queste grosse piantagioni di alberi di mimosa nel sud del Madagascar, le cui cortecce vengono poi lavorate sempre da piccoli artigiani e la corteccia di mimosa, sminuzzata e secca è la base per la fase più importante della concia.
È quella che ammorbidisce il cuoio e che di solito viene fatta con agenti chimici che velocizzano, perché i tempi richiesti sono un po’ più veloci di quelli che necessita in realtà un processo del genere. Però la concia vegetale da altre parti esiste ed è riconosciuta come molto più pregiata. Questo insomma è quello che facciamo.
Abbiamo visto che il marchio fa attenzione alla sostenibilità. Mi chiedo come questa sostenibilità si possa legare all’utilizzo di materiali come il corno di zebù?
Ci tenevo infatti a specificare questo: lo zebù è l’equivalente della nostra mucca che tra l’altro in Madagascar è molto pregiata perché produce il latte. Chi ha una mucca, una di numero, se la tiene come se fosse un santino e non viene assolutamente uccisa, viene mantenuta per produrre piuttosto quel poco di latte. Lo zebù viene invece utilizzato come animale da lavoro, nelle campagne è ancora l’unico sostituto del motore, perché non c’è.
Viene utilizzato per arare i campi, per trasportare pesi e quando non ce la fa più, viene macellato. E sia la pelle che le corna vengono considerate scarto. In Madagascar c’è poi questa problematica, del discorso rifiuti e del loro smaltimento. E anche se pochi, ci sono alcuni laboratori artigiani che recuperano queste corna di zebù e le trasformano in collane, orecchini, bracciali, noi facciamo anche posate. Quindi, da questo punto di vista facciamo così.
Per quanto riguarda il concetto di sostenibilità, noi la intendiamo da due punti di vista di pari importanza. Per noi, avendo conosciuto la realtà del Madagascar è altrettanto importante un discorso di sostenibilità in termini di sostenibilità sociale. Quindi lavorare dando alle persone un ambiente di lavoro sano, perché pochi ce ne sono. Abbiamo cercato di costruire un ambiente sano che somigliasse il più possibile a un laboratorio artigiano a cui siamo abituati qua in Italia.
E il “sociale” per il Madagascar?
Abbiamo anche scelto di avere pochi artigiani. Due ragazzi, investendo sulla loro formazione, anche perché di recente ad Antananarivo, nella capitale, è stata istituita una scuola per la formazione professionale di artigiani. Essendo l’artigianato tra le attività più importanti in Madagascar, abbiamo scelto di investire su ragazzi giovani con una formazione, ma con ancora poca esperienza. Crediamo che sia bello dare una possibilità a questi ragazzi: la possibilità di imparare qualcosa che permetta loro un domani, magari di aprire il proprio laboratorio. Ma anche di avere una piccola conoscenza in più rispetto a chi magari artigiano ci si è inventato per tanti anni.
Abbiamo poi due artigiani senior che invece fanno parte della vecchia scuola. Non hanno nessuna formazione ma hanno un’esperienza molto grande alle spalle. Sono quelli che conoscono un po’ i trucchi del mestiere e che ci aiutano a sopperire a qualche problema che può riguardare la ricerca dei fornitori, piuttosto che altro. Abbiamo quindi quattro persone in atelier. E abbiamo scelto di avere pochi dipendenti per garantire loro uno stipendio che fosse giusto e dovuto.
Women Support
Visto che per alcune cose, come le lavorazioni in corno, in alluminio e altro, ci appoggiamo ad artigiani e cooperative esterne, mi piaceva da donna, creare una sorta di rete di collaborazione con altre artigiane. Che sono tutte donne, non nascondendo questa collaborazione dietro al nostro marchio. Sul nostro sito, ci sono infatti citati con volti e una piccola storia, gli artigiani esterni che collaborano con noi. Ci piaceva raccontare anche di loro.
Dal punto di vista sociale ci teniamo ad andare un po’ oltre, almeno nell’artigianato, poi per carità, negli altri settori no. Però l’artigianato è ancora molto sfruttato e noi abbiamo preferito restare piccoli, partire da piccoli e dare forza al prodotto di qualità senza puntare piuttosto alla quantità. Dare invece valore alle persone che lavorano con noi. In termini di sostenibilità nei processi, noi cerchiamo il più possibile di lavorare con materie prime locali: perché deve arrivare ad esempio il cotone dalla Cina o dall’India? Abbiamo voluto creare una rete che aiuti i produttori e gli artigiani locali in un tutt’uno.
Ci sono già progetti futuri per il marchio?
Quello che sicuramente ci piacerebbe a livello di progetti, al momento, sarebbe incrementare l’offerta di questi prodotti. È stato lungo il percorso che ci ha portato fino a qui ad avere la prima collezione. C’è stato tanto lavoro dietro, ci sono stati tanti contatti con laboratori artigiani, con donne artigiane nel perfezionare i prodotti, nel trovare come fare per renderli di qualità. E quello che è venuto fuori nella prima collezione è solo un piccolo nucleo. Quindi ci piacerebbe aggiungere qualche strato a questo nucleo e renderlo più ricco e variegato.
E ci piacerebbe che Chicetnic in qualche modo, diventasse una bandiera, spero conosciuta anche internazionalmente, per il carattere di e-commerce che abbiamo scelto di avere per arrivare un po’ dappertutto con il nostro messaggio prima ancora che con i nostri prodotti. Ci piacerebbe che diventasse un po’ una bandiera del fatto che il prodotto artigianale di qualità può esserci dappertutto. E merita di essere valorizzato e di vedere riconosciuto quel plusvalore che noi diamo al nostro artigianato italiano.
L’artigianato etnico
Io ho sempre avuto l’impressione che ci fosse una sorta di disparità tra il termine artigianato e il termine etnico: quando io vado a comprare un prodotto che è d’artigianato, in qualche modo gli riconosco insito un plusvalore e quindi sono disposta a pagarlo di più. Quando invece trovo un prodotto locale etnico, è come se ci fosse un’accezione negativa dietro per la quale sono disposta a pagarlo meno.
Lo trovo sbagliato, perché è un prodotto di artigianato fatto in un altro paese. Quello che vogliamo dimostrare è che l’artigianato di qualità si può fare dappertutto. Quindi vorremmo essere riconosciuti per questo, vorremmo arrivare a questo piano piano.