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Celleno, l’incanto di un borgo fantasma

Celleno, l’incanto di un borgo fantasma
Foto di jacqueline macou da Pixabay

C’è un fantasma, a Celleno. Anzi, due. Il primo è il borgo, piccolo e incantevole, posizionato su uno sperone di tufo destinato a disfarsi, prima o poi. Il secondo è quello di Giovanni Gatti, della potente famiglia viterbese, che quando il papa Alessandro VI Borgia gli ordinò di restituire il feudo alla chiesa, rifiutò e finì decapitato (era il 1496)

C’è chi giura di sentire ancora i suoi gemiti in certi giorni… Suggestione? Chissà. Fatto sta che qui, di suggestioni ed emozioni, ce ne sono una dietro l’altra, tra i ruderi di questo paese abbandonato in un paesaggio dolce e incantato, modellato dagli affluenti del Tevere.

Celleno, rovinosa ma grande bellezza

Un territorio assai vulnerabile, costituito da materiali, tufo e argilla che insieme regalano scorci di grande meraviglia ma che rappresentano un matrimonio non proprio ben riuscito, dal punto di vista geologico/geomorfologico. Quando l’argilla per via di pioggia e infiltrazioni varie va via, ecco che il tufo non ce la fa a reggere e cade giù pure lui, portando con sé tutto quello che sta sopra. È successo così per la “blasonata” Civita di Bagnoregio, a pochi km da qui: per fortuna ci sono interventi per mantenerla al suo posto. A Celleno molti di meno, purtroppo, poiché la sua situazione nel tempo era molto più compromessa, anche se comune e soprattutto un gruppetto di volontari ce la sta mettendo tutta a tenerla ancora in piedi, nella sua rovinosa bellezza. E noi viaggiatori che ci arriviamo, ne siamo davvero grati.

Appena giunti sotto la rupe del borgo, che si avvista da lontano provenendo da Celleno Nuovo, non sembra che ci siano grossi disastri, si sale su tra edifici e scalinate di tufo, e soprattutto attraverso la scenografica via del Ponte, beandosi delle tante sfumature di verde e marrone tutto intorno. Si passa davanti al museo, in cui c’è un plastico di come doveva essere Celleno, origine etrusca, nei suoi tempi migliori, tante case vicine l’un l’altra che però non ce l’hanno fatta a resistere a frane e smottamenti, pure a qualche scossa di terremoto, per cui a metà ottocento fu in gran parte abbandonata, e del tutto alla fine degli anni ’50 del secolo scorso. In bella mostra pure tanti oggetti che raccontano la vita semplice e rurale degli antichi abitanti.

L’incanto scatta tra le vie di Celleno e poi, colpo di fulmine

L’incanto scatta quando si giunge nella piazza del Comune, uno slargo su cui si affaccia il Castello Orsini (la famiglia che arrivò dopo quella dei Gatti), in buono stato, poiché acquistato e restaurato da dal pittore Enrico Castellani, che ormai non c’è più. Ci sono pure qualche edificio ristrutturato in attesa di destinazione d’uso e la piccola chiesa di San Carlo, del XVII secolo. O meglio, “ex”, poiché ora è un museo che ospita vecchi cimeli del tempo che fu, come una collezione di radio e soprattutto di moto perfettamente funzionali. La malìa cresce mentre si prosegue. Davanti quel che resta di una casa, un muro “resiliente”, dalle cui finestre colonizzate da una gran bagarre di piante, lo sguardo vaga.

Avanti, avanti, un muro rimane decorato dalla cornice di un portone scomparso e un campanile con l’impronta di un orologio che non c’è più fa capire che lì c’era un’altra chiesa. Si costeggia l’edificio che l’ingloba ed eccola, sulla sinistra: beh, e qui è proprio colpo di fulmine, solo qualche mura in piedi ma che fascino, quella vegetazione che sbuca in ogni dove, con alberelli spogli come una sorta di eccentrici cappelli per pareti da cui sporgono capitelli e putti. Sono sentinelle narranti di quella che era la chiesa parrocchiale di Celleno, dedicata al patrono San Donato, e che conserva alcune parti risalenti al periodo medievale, come l’originario portale in stile romanico-gotico, risalente al periodo 1200-1400. Tanti i rifacimenti negli anni successivi, tra il 1500 e il 1700 e poi l’abbandono. Ora si sbircia tra quei resti e non si fa fatica a immaginare messe e cerimonie mentre un enorme verme viola ondeggia qua e là sul terreno. Fa parte delle opere con le quali un gruppo di artisti della Biennale di Arte Contemporanea ha omaggiato il luogo. Questa figura si armonizza con i ruderi, così come ulteriori lavori che si incontrano tra i muri diroccati, alcuni in ferro battuto, magari a difesa delle porte di vecchie cantine che hanno bucato la rupe, o una particolare teca con uno scheletro.

Passo dopo passo il percorso conduce a piazza Piazzarella, seguendo l’antica via Maggiore, lasciando a sinistra le mura di alcune case mentre a destra c’è solo qualcosa che ricorda l’antico abitato. Una piazzola terminale è il culmine di questo incredibile terrazzo sulla terra di Tuscia.

A Natale, tra dicembre e gennaio, c’è il presepe vivente, la seconda domenica di giugno la festa della ciliegia, eccellenza locale. E durante tutto l’anno, imperdibile l’incanto del borgo fantasma che rivive nella memoria di chi lo cura e nella meraviglia di chi lo conosce.

Come si arriva? Da Roma, A1 dir. Firenze, uscita Orte – dir. Viterbo SS675; uscita Bagnaia/Montefiascone – SP Acquarossa; SP Teverina – Celleno. Da Firenze, A1 dir. Roma, uscita Orvieto – SS205 Bagnoregio; SP Teverina – Celleno

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