Articolo aggiornato in redazione il 25 novembre 2020 alle ore 8.49.
Carbfix, ossia come ridurre i gas serra trasformandolo in roccia, in un procedimento che ricorda quello degli “antichi alchimisti”. Un gruppo di ricercatori islandesi e di studiosi internazionali, con a capo la geologa Sandra Osk Snaebjornsdottir, ha chiamato Carbfix il progetto sostenuto dall’Unione Europea che si occupa dello stoccaggio a lungo termine della CO2 nel sottosuolo
Carbfix, gli scienziati hanno iniziato a lavorarci nel 2012. CarbFix è l’esperimento islandese che coincide con il “processo industriale per catturare CO2 e altri gas acidi da fonti di emissione e stoccarli permanentemente come roccia nel sottosuolo” , come si legge nel sito che fa riferimento alla ricerca. Obiettivo condiviso: ridurre il riscaldamento globale, trasformando in roccia l’anidride carbonica.
Come funziona il progetto Carbfix?
In questo caso, l’esperimento nasce dall’esigenza di capire come catturare e immagazzinare sottoterra l’anidride carbonica (CO2) e gli altri gas prodotti dalla centrale geotermica di Hellisheidi. Non a caso anche altre centrali geotermiche, come da noi in Toscana, si sono dimostrate interessate al progetto. Potrebbe significare, dunque, gestire centrali “difficili”, risolvendo parecchie controversie ambientali.
Il progetto utilizza le reazioni chimiche spontanee che avvengono quando l’anidride carbonica entra a contatto con il basalto, roccia scura di origine vulcanica che contiene calcio, ferro e magnesio. Di fronte alla presenza di acqua, il gas precipita a terra cade dando origine ad un minerale di colore biancastro.
Secondo i risultati pubblicati recentemente su Science, il 95% del gas che immagazzinano in sotterraneo si trasformano in minerali solidi di carbonato in soli due anni.
Non è tutto oro quel che riluce, nonostante la tecnica utilizzata sia quella degli alchimisti
Il problema è che per ottenere le reazioni è importante avere a disposizione enormi quantità di acqua nelle quali poter mescolare la CO2 e gli altri gas, circa 25 tonnellate di acqua per ogni tonnellata di CO2. Senza poi considerare la necessità di infrastrutture adeguate.
Quali prospettive?
“Ora sappiamo che possiamo iniettare nel sottosuolo grandi quantità di CO2 perché lo stoccaggio avviene in maniera rapida e sicura” come sottolinea su Green Report Martin Stute, professore di Geochimica presso la Columbia University, tra gli autori dello studio. “Nel futuro, le centrali sorgeranno in luoghi ricchi di basalto, e ce ne sono molti sul pianeta!”. Il basalto, come ricordiamo, rappresenta circa il 10 percento delle rocce continentali.
I principali metodi di cattura e stoccaggio prevedono di iniettare direttamente nel sottosuolo la CO2 senza utilizzo di acqua. Tra il 2012 e il 2013, i ricercatori hanno iniettato nel sottosuolo circa 250 tonnellate di CO2. Nel 2014, tramite pozzi di esplorazione, è stato possibile misurare i cambiamenti nella composizione isotopica dell’acqua.
In questo modo, gli scienziati hanno dimostrato che molto del carbonio si era cristallizzato in pochi mesi. Le reazioni utilizzate sono conosciute da tempo ma erano poco chiari i tempi dello stoccaggio della CO2. Alcuni studi parlavano addirittura di centinaia o migliaia di anni.
Ora sappiamo che in circa due anni, in condizioni particolari, il gas viene “sepolto” e immagazzinato nel sottosuolo. Un segno di speranza possibile per la lotta ai cambiamenti climatici?
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