Per la conservazione della biodiversità ai vertebrati assegnato l’83% dei fondi previsti.
Il “privilegio di essere belli”, ne è colpito anche il mondo animale e vegetale. A rivelarlo uno studio internazionale, il primo di questo genere, pubblicato su PNAS a cura delle Università di Hong Kong e Firenze che denuncia una distribuzione squilibrata dei fondi globali, sia pubblici che privati, destinati a salvaguardare l’esistenza delle varie specie (“Limited and biased global conservation funding means most threatened species remain unsupported.
Il “privilegio di essere belli” o pretty privilege degli animali iconici: sono “brutti”? Meno fondi
Il “privilegio di essere belli” o pretty privilege nasce negli Stati Uniti come temine utilizzato per indicare come le persone sia donne che uomini che rispondono ad alcuni canoni estetici standardizzati, godano di maggiori vantaggi rispetto agli altri.
Ora oltre alle persone si aggiungono anche gli animali. Difatti è stato dimostrato che esistono alcune specie maggiormente in grado di attirare l’attenzione delle persone, e quindi anche di ricevere maggiori fondi destinati alla loro conservazione.
Si tratta di animali definiti iconici, il primo fra tutti è il delfino, ma appartengono a questa categoria anche le tartarughe marine e gli elefanti.
Sono soltanto un piccolo numero di grandi specie a ottenere i finanziamenti mondiali per la conservazione della biodiversità animale e vegetale, mentre quasi il 94% delle specie a diretto rischio di estinzione non ha ricevuto alcun sostegno.
A farne le spese sono specie fondamentali per il funzionamento degli ecosistemi, tra cui anfibi, invertebrati, piante e funghi.
La ricerca, in parte sostenuta dal centro nazionale National Biodiversity Future Center, è stata finanziata dal Ministero dell’Università e della Ricerca con fondi dell’Unione Europea nell’ambito del programma #NextGenerationEU (PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).
Stefano Cannicci, docente di Zoologia dell’Università di Firenze spiega: “Abbiamo analizzato 14.566 progetti di conservazione che abbracciano un periodo di 25 anni, dal 1992 al 2016, confrontando l’importo dei finanziamenti per specie con il loro status nella «lista rossa» delle specie minacciate stilata dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), istituzione che valuta i livelli di rischio di estinzione e di cui faccio parte”.
“Per la prima volta – prosegue lo zoologo dell’Ateneo fiorentino – si è analizzato lo sforzo mondiale di conservazione delle specie e degli ambienti andando a studiare la distribuzione dei fondi dedicati alla conservazione, e non contando il numero di articoli pubblicati: dei 1.963 miliardi di dollari assegnati complessivamente dai progetti, l’82,9% è stato destinato a vertebrati. Piante e invertebrati hanno rappresentato ciascuno il 6,6% dei finanziamenti, mentre funghi e alghe sono appena rappresentati, con meno dello 0,2% per ciascuna delle specie”.
Anche all’interno di molti dei gruppi maggiormente finanziati esistono grosse disparità: i mammiferi di grossa taglia, che rappresentano solo un terzo dei mammiferi minacciati, secondo l’IUCN, hanno ricevuto l’86% dei finanziamenti.
Una grossa percentuale dei fondi analizzati riguarda il più ricco e importante programma di fondi per la conservazione europeo, quello dei progetti LIFE, che in realtà sono la spina dorsale dei fondi per la conservazione delle specie italiane, e che quindi ci riguarda direttamente.
“I dati dicono, per esempio – prosegue Cannicci – che tra i vertebrati più a rischio di estinzione ci sono gli anfibi (salamandre e rane), ma i fondi a loro dedicati sono meno del 2% del totale. In generale, gli animali che noi consideriamo ‘brutti’ o pericolosi (pipistrelli, serpenti, lucertole, e moltissimi insetti escluse le farfalle) sono scarsissimamente finanziati in termine di conservazione”.
“Investire i fondi sulla conservazione di poche specie non preserva gli ecosistemi che li supportano: che senso ha conservare un animale ma non gli animali o le piante che mangiano?” si domanda il ricercatore, che conclude: “Per affrontare in modo efficace la sfida della tutela della biodiversità gli autori dello studio propongono che siano destinate complessivamente più risorse alla conservazione, ma anche che le organizzazioni governative e non governative lavorino per riallineare, sulla base delle conoscenze scientifiche, le priorità di finanziamento verso le specie a reale rischio di estinzione e attualmente trascurate”.
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