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A bordo con Grimaldi per proteggere il Mediterraneo

A bordo con Grimaldi per proteggere il Mediterraneo
A bordo con Grimaldi per proteggere il Mediterraneo

Un interessante reportage a cura di Maria Betteghella con le immagini di Marianna Farina e Gianluca Tesauro che Green Planet News ha il piacere di pubblicare. Un racconto intenso, tutto da leggere.

Una fila di furgoni targati Tunisia detta il passo lento del viaggio. Uomini scalzi accovacciati sull’asfalto pregano sui loro tappeti quadrati. Attendono, a motori spenti e portiere spalancate, di passare per la dogana. Alcuni provano ad ingannare il tempo sul cellulare, documentando le fasi del viaggio a qualcuno che lo aspetta dall’altro lato del Mediterraneo. 

Tra una sigaretta e l’altra si beve caffè dal termos, qui tutti parlano una lingua straniera, ma siamo ancora in Italia. Un numero incalcolabile di biciclette, frigoriferi e lavandini si mantiene in asse su portapacchi di fortuna che sfidano le leggi naturali della gravità delle cose. Guardo le ruote di questi mondi ambulanti, sono impigrite dal peso di un nomadismo vissuto in formato famiglia. Dopo ore di attesa, i passeggeri riescono a passare i controlli e salgono a bordo. Siamo in partenza.

Sto per imbarcarmi su Catania, una delle navi della flotta Grimaldi. La compagnia marittima è partner del progetto di ricerca internazionale LIFE Conceptu Maris, un’iniziativa che sta contribuendo alla conservazione degli ecosistemi marini nel Mediterraneo grazie ad un complesso network di istituti ambientali. Tramite la stazione zoologica Anthon Dohrn, sono stata invitata a prendere parte ad uno dei loro imbarchi scientifici, che in questo caso coincide con una traversata verso l’Africa. 

L’intero equipaggio si prepara a salpare verso Tunisi. Ci troviamo nel porto di Civitavecchia, il viaggio richiederà più o meno 18 ore. Le condimeteo non sono promettenti, ma l’equipe di ricerca ha già rimandato la partenza una volta, e il progetto ha bisogno di raccolte dati sistematiche, svolte con frequenza stagionale su tutte le rotte studiate.

Un’onda di tre metri comincia a colpire lo scafo appena raggiungo il quinto piano della nave, tanto da costringermi ad afferrare il passamano. Mi trovo sul piano del bar, barcollo cercando di intercettare l’equilibrio precario della nave in balìa delle onde, ma da lontano riconosco il gruppo dei ricercatori riuniti ad uno dei tavoli dell’area lounge. Siamo gli unici italiani a bordo, ormai mi sono abituata alla tonalità ermetica delle conversazioni tunisine, ma resto un’ospite nella sala da pranzo di qualcun altro. 

I ricercatori ci danno un caldo benvenuto, e prima che me ne renda conto, ci immergiamo in una lunga chiacchierata su come le navi della Grimaldi Lines fungano da piattaforme di osservazione in mare aperto per un monitoraggio continuo di cetacei, tartarughe marine, uccelli marini, balene e marine litter.

“Le navi di linea offrono una grande opportunità per la raccolta datispiega Roberto Crosti, ricercatore dell’ISPRA  – Portiamo avanti studi sistematici lungo 16 rotte transnazionali, dalla Tunisia fino allo stretto di Gibilterra. Tra le specie più avvistate ci sono la balenottera comune e la stenella striata, seguite dal tursiope e dal capodoglio, ma anche rari avvistamenti di orche”.

Lentamente entro in armonia con il ritmo frenetico della nave Catania. Marinai e inservienti salgono e scendono da un piano all’altro per organizzare una cambusa, due cucine, un bar e tre piani di cuccette, mentre i passeggeri ciondolano sul ponte battuto dal vento in una notte più buia, ma anche più rumorosa, del solito. Navighiamo a centinaia di miglia dalla costa italiana, il vento rinforza, e assieme ad esso la nostra intimità con il mare. 

“L’equipaggio della Grimaldi ci ha dato una mano a organizzare un vero e proprio laboratorio scientifico in sala macchine” continua Roberto. I primi tentativi di campionamento di acqua marina devono essere stati i più divertenti, e a raccontarlo non sono tanto le parole quanto l’allegria dei suoi occhi. “Dobbiamo effettuare i prelievi durante la navigazione, seguendo una mappa di stazioni identificate tramite coordinate  geografiche al momento della partenza. Per questo abbiamo montato una presa d’acqua a circa cinque metri sotto la superficie, e utilizziamo un tubo di derivazione per intercettare l’acqua marina raffreddata dei motori» .

Assieme all’Università di Milano Bicocca, l’ISPRA – Istituto italiano per la Protezione e la Ricerca Ambientale – ha sviluppato uno specifico protocollo per il campionamento di DNA ambientale (e-DNA) a bordo di navi di linea. Grazie alle analisi del DNA ambientale, i ricercatori sono in grado di localizzare le specie in pericolo,  studiarne la distribuzione, identificare gli hotspot dove si concentrano e quindi ricostruire le strutture degli ecosistemi marini. Il gruppo accademico che si occupa di DNA ambientale è coordinato dalla Prof.ssa Valsecchi (Unibicocca), e a bordo incontro due dei suoi borsisti. 

“Con le navi di linea, siamo in grado di raggiungere punti di enorme valore biologico per la nostra ricerca a bassissimo costo operativoconclude Roberto, mentre i passeggeri si preparano ad una nottata di navigazione nell’area lounge. Inoltre, il traffico ad alta frequenza dei traghetti facilita campionamenti standardizzati lungo la stessa rotta, oppure contestualmente lungo rotte diverse, e questo è un grande vantaggio per i protocolli scientifici”.

Ordino un caffè al bar. Attorno a me, uomini tunisini pregano oppure guardano senza guardare spot italiani sui televisori di bordo. Un ragazzino mi rivolge la parola ma il mio mutismo attonito suggerisce che non sono tunisina, e non saprei dire chi tra i due ci rimane peggio. 

Il sorso di caffè scende caldo e veloce, e mi offre un attimo di raccoglimento prima che Roberta e Alessandro mi invitino ad assistere al prossimo campionamento di acqua. Indosso un paio di tappi per le orecchie rosa che ho portato con me perché in viaggio non si sa mai, e inizio a scendere assieme a loro verso i piani inferiori della nave.  

All’ingresso della sala macchine mi rendo conto che ad aumentare non sarà solo il rumore. Un caldo improvviso rende la mia felpa inutile, così la tolgo. Ora sono certa di essere arrivata nel ventre roboante della nave Catania. L’unico modo di comunicare quaggiù è leggere il labiale, quindi smettiamo di parlare per comodità, tranne che per piccoli cenni che indicano il cammino. I ruggiti del motore riempiono ogni angolo del labirinto di tubature bianche in cui ci troviamo, e l’aria calda guadagna presenza fisica nello spazio. Scendiamo un’altra scala bianca verso un ambiente ancora più basso, e raggiungiamo finalmente il laboratorio di DNA ambientale.

Stiamo ancora navigando con onde alte diversi metri, e anche se l’equilibrio della nave è maggiore ai piani inferiori, non siamo stabili. I ricercatori sembrano abituati a lavorare in queste condizioni, e finisco per sentire una nota di compassione per il fotografo. Goccia dopo goccia, l’acqua marina riempie tre grandi beute, e i ricercatori maneggiano attentamente filtri da 45 micrometri per catturare particelle invisibili del mondo sottomarino. Una volta a terra, il DNA ambientale sarà estratto, amplificato e sequenziato in laboratorio, rivelando potenzialmente il passaggio di una balenottera, o la presenza di un delfino nelle ore precedenti al campionamento. 

All’altra estremità della nave – lungo l’asse verticale – avvengono le azioni di monitoraggio. La mattina successiva, raggiungo il ponte di comando dove i ricercatori di ISPRA e Anthon Dohrn sono impegnati ad osservare la superficie marina in un silenzio meditativo. Non sembrano esserci segnali interessanti all’orizzonte, solo marine litter che galleggia occasionalmente qua e là. 

Il ponte di comando è il punto più alto dell’imbarcazione. Qui si trovano gli alti gradi. Il ronzio costante di una stazione radio intercetta a singhiozzi i messaggi di pescatori che parlano dialetti incomprensibili, e una lingua a metà tra arabo e siciliano interrompe il silenzio di questo tempio marino, dove gli ufficiali lavorano per assicurare una navigazione priva di imprevisti e rispondono agli ordini del comandante. 

Gli osservatori professionisti prendono posto su entrambi I lati del ponte di commando, e usano un protocollo standardizzato per gli avvistamenti. Sia gli specialisti di tartarughe marine dell’Anthon Dohrn che gli osservatori ISPRA registrano su un GPS dedicato i dati della rotta studiata, segnando inizio e fine delle fasi di monitoraggio, e le coordinate degli avvistamenti. Il monitoraggio a vista è soggetto alle condimeteo, e la stagione primaverile offre le migliori probabilità di registrare specie in transito.

Gli osservatori comunicano attraverso walkie-talkies per tenersi aggiornati da un lato all’altro del ponte di commando. Da qui, godiamo di una vista a 180 gradi, un tappeto infinito di possibilità. Fisso la sterminata massa d’acqua tutto attorno, e mentre mi perdo in un dormiveglia dove i pensieri lasciano il posto a sogni di giganti acquatici che seguono la nostra nave dalle più remote profondità sottomarine, i ricercatori si concentrano sui dettagli. Un puntino nero può essere facilmente confuso con una tartaruga da un osservatore non professionista, e Marianna e Roberta – le ricercatrici dell’Anthon Dohrn – hanno una tale familiarità con i comportamenti delle specie che mi sento improvvisamente estranea al loro legame profondo con l’ambiente acquatico.   

Eugenia siede in silenzio in una delle postazioni di osservazione alla destra del ponte. Aspetta di registrare i dati del monitoraggio su una tabella stampata che sarà in seguito inserita su una piattaforma digitale. I ricercatori sono impegnati nella raccolta dati su navi di linea dal 2007, anno in cui è stato realizzato lo studio pilota nel Golfo Aranci, a largo delle coste della Sardegna. 

“Il mar Tirreno è pieno di montagne sottomarine che hanno un effetto sulle correnti e sulla concentrazione delle specie” mi spiega. Eugenia è una dottoranda della Sapienza, e nella sua ricerca sta cercando di ricostruire movimenti e distribuzione di cetacei e tartarughe marine nel Mediterraneo. 

Perse entrambe nella contemplazione di un orizzonte infinito, la ascolto mentre mi parla del Marsili, il vulcano attivo più grande d’Europa, un altro gigante sottomarino che d’ora in poi capovolgerà i mondi della mia immaginazione. Localizzato a circa 150 km a sud di Napoli, questa enorme montagna marina è alta tremila metri, ha una base lunga 70 km ed ampia 30 km. Non c’è da stupirsi se la sua presenza sia una potenziale causa di risalita dei nutrienti – spiega Eugenia – un fenomeno che potrebbe attrarre le specie marine e influenzare l’ecologia spaziale del Tirreno meridionale.  

Ore dopo, piogge battenti costringono i ricercatori ad interrompere la raccolta dati. L’approdo a Tunisi ha il sapore di un risveglio da un sogno, ma la nave rimane ormeggiata solo poche ore nel porto prima di ripartire alla volta di Salerno. I passeggeri tunisini non vedono l’ora di mettere piede a terra, mentre un’altra fila di camion attende di ricevere istruzioni per salire a bordo. Dopo ore di meticolosi controlli di sicurezza, la polizia tunisina è soddisfatta delle procedure di imbarco e ci accorda il diritto di salpare. 

Sento di nuovo il rombo dei motori. Un’altra notte ci attende nera in alto mare, ma le onde sono ormai ammansite, così come il mio spirito. Il nostro ultimo giorno a bordo è di un blu cristallino, ma è ancora inverno e gli avvistamenti sono difficili. Marianna ci chiama a gran voce quando avvista una tartaruga, mi affretto ma arrivo troppo tardi e fisso una superficie marina che ha già inghiottito ogni segno di vita.

Mentre ci avviciniamo alla terra avverto nell’aria una dolcezza amara di fine percorso. Avrei voluto avere più tempo per incontrare altre creature del Mediterraneo, così fantastico sui prossimi imbarchi in cui darò prova le mie capacità di avvistatrice quasi-scientifica a bordo di una Civitavecchia-Barcellona, o magari durante un imbarco nel leggendario santuario dei cetacei, o chissà, alla volta di Gibilterra per un raro – ma non impossibile – incontro con sua maestà, l’orca. 

Navighiamo a ridosso della costiera amalfitana per raggiungere il porto di Salerno, così raggiungo Roberto e il resto del team di Conceptu Maris. Non c’è tempo per le formalità, e un ci vediamo a bordo resta il più bel commiato tra le righe per noi amati del mare. Metto piede a terra e lancio un ultimo sguardo alla nave Catania che riposa soddisfatta in banchina. Il gigante si risveglierà a breve, pronta ad offrire nuovi passaggi per esplorare i misteri di uno sconfinato mondo sommerso. 

Foto: Marianna Farina e Gianluca Tesauro.

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