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Che vita dura, quella dell’anguilla

Che vita dura, quella dell’anguilla
Foto di PENEBAR da Pixabay

A noi di GPNews è capitato piacevolmente tra le mani un libro di Patrick Svensoon, dal titolo “Nel segno dell’anguilla” (pubblicato da Guanda). Svensoon è uno scrittore svedese, cresciuto in una piccola città nel sud della Svezia, vicino a una zona conosciuta come “la costa delle anguille”. Bene, in questa sua deliziosa (e un po’ amara) opera si dipana il rapporto tra un padre e un figlio che, nell’escogitare nuove strategie per catturare le anguille, imparano a conoscersi (un po’) in un racconto di memorie e natura.

Pagina dopo pagina, tra chiacchiere e ricordi, ecco la narrazione di “chi è” l’anguilla e del mistero che ancora gira attorno alla sua esistenza, tanto da aver suscitato in ogni epoca grande interesse da parte di pensatori e scienziati come Aristotele e persino Freud che si appassionò agli intriganti meccanismi della sua riproduzione. Insomma, proprio riga dopo riga, via via è aumentata pure la nostra curiosità su questo pesce che nel corso della sua vita muta notevolmente aspetto. Alla nascita, nel mar dei Sargassi, sperduto tra le Antille e le Azzorre, è una minuscola larva che, scrive Svensson, “somiglia a una foglia di salice”.

Crescendo e allungandosi poi si tramuta nella cosiddetta “cieca” mantenendosi affusolata e trasparente fino a che, lasciando l’acqua oceanica e entrando in quella dolce, si trasforma in anguilla gialla, dal colorito che talvolta tende al bruno, prendendo le fattezze di un muscoloso serpente. Rimane così, nelle profondità, per parecchi anni, attivandosi solo per mangiare, qualunque cosa, dai vermi ai piccoli di uccelli. A un certo punto, fa “dietro-front” nel senso che inizia il suo viaggio di ritorno verso i Sargassi, acquisendo una colorazione nera con venature argentee, non per niente si chiama argentina.

Determinata nel suo scopo, sviluppa il sistema riproduttivo. Anche le pinne, scrive Svensson, “diventano più lunghe e forti” e gli occhi più grandi e colorati di blu “per poter vedere meglio nelle profondità marine, l’apparato digerente smette di funzionare, lo stomaco si dissolve e le energie necessarie vengono attinte dalle riserve di grasso, mentre il corpo si riempie di uova o di sperma”. Dunque, è pronta per il suo obiettivo: riprodursi nell’acqua che l’ha vista nascere e quindi morire.

E a tutto questo gli scienziati non hanno saputo dare una totale spiegazione. Come mai? Lo abbiamo chiesto a Giandomenico Ardizzone, professore di Ecologia all’Università di Roma La Sapienza, esperto tra l’altro di biologia della pesca, gestione delle risorse, dinamica di popolazioni ittiche. “Un mondo complicato, quello delle anguille”, dice. “Dopo essere arrivate dal mare in stadio giovanile, entrano nelle acque salmastre e dolci di lagune, laghi, fiumi. Prima di ritornare al mare si trattengono per un bel po’ di tempo nelle acque terrestri, a seconda del sesso: in genere i maschi rimangono 3-4 anni, le femmine anche 10.

Naturalmente ci vuole più tempo a seconda della distanza dal mare, come accade ad esempio per il lunghissimo Po. È un processo lento e complicato, che avviene in genere in autunno. Si muovono tutte insieme stando attente che alle foci ci sia il mare mosso, così da non essere catturate dagli uccelli e prendere quindi il largo”.

In quale periodo l’anguilla arriva dal mar dei Sargassi nel Mediterraneo?

Queste anguille europee, esattamente Anguilla anguilla, fanno la loro comparsa in inverno, entrando probabilmente dallo stretto di Gibilterra, che ha una profondità media di 400 metri. Muovendosi sul fondo, non è certo facile individuarle né seguirle per tutto il percorso che compiono nell’Oceano Atlantico. La loro è una vera e propria migrazione da fantascienza.

Nonostante questo, da tempo l’uomo cattura questa anguilla…

Perché da sempre ne conosce i movimenti, in parte inspiegabili, e ha messo a punto sistemi lavorieri di sbarramento che, posti alla fine delle acque lagunari, dei canali e dei fiumi, lasciano entrare gli esemplari giovani intercettando gli adulti che vengono catturati per il mercato. Bloccando questi riproduttori, il numero che riesce a sfuggire e raggiungere il mar dei Sargassi è fortemente limitato, quindi diminuisce la possibilità di generare altri individui. Per le popolazioni di anguille questo è un grosso svantaggio che si somma alla difficoltà di arrivare nel Mediterraneo durante la fase migratoria. E così il loro numero diminuisce. Sono animali fortemente a rischio.

L’inquinamento, le variazioni climatico/ambientali e la temperatura dell’acqua influenzano questo stato di pericolo?

Non credo. Il fattore principale di crisi per le anguille è la forte richiesta a scopi alimentari; rimane alto il rischio senza interventi specifici per la loro salvaguardia, come il divieto di pescare le cieche.

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