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Le nubi, straordinarie compagne di viaggio

Foto di Magda Ehlers da Pexels

Volteggiano leggiadre sopra le nostre teste, ci impensieriscono se ce ne sono troppe quando dobbiamo andare al mare, talvolta ci suggeriscono forme insolite di fantasia

Ecco le nuvole anzi, le nubi, come precisa Vincenzo Levizzani, professore di fisica delle nubi all’Università di Bologna e ricercatore all’Istituto di scienze dell’atmosfera  e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac), sempre a Bologna. “Nube è il termine scientifico, mentre nuvola è quello poetico/letterario. Sono entrambi legittimi, ma hanno un loro ben delimitato campo di utilizzo”.

Professore, ma lei è uno ‘studioso’ o piuttosto un ‘cacciatore’ di nubi?

Sono sempre stato uno studioso e un ricercatore e la curiosità di comprendere i meccanismi della natura mi ha sempre guidato nella mia vita di scienziato. S’intende che lo scienziato si trasforma in ‘cacciatore’ nella misura in cui esce dal laboratorio per studiare il fenomeno in campo.

Dal punto di vista personale, le nubi per me sono molto di più che oggetti di studio e interesse scientifico. Le nubi sono forme e colori cangianti, sono compagne di viaggio, sono meraviglia continua perché sempre diverse e irripetibili. Sono anche bellezza nell’arte. Pensiamo a Tiepolo e alle sue nubi rosa o alla pittura del tardo Medioevo e del Rinascimento che rivelava un interesse molto acceso per il cielo. Insomma, le nubi sono vita e bellezza.

Un mondo senza nubi: è una cosa negativa?

 Assolutamente sì e per una serie molto lunga di motivi. Ad esempio: sono regolatori della radiazione solare in arrivo sul pianeta, sia infrarossa (temperature) sia visibile. Senza di esse saremmo più esposti e ci sarebbero evidenti ricadute sulla salute e la sopravvivenza degli ecosistemi.

Senza le nubi non ci sarebbero pioggia, neve e, in una parola, la precipitazione. Verrebbe a mancare una componente fondamentale del ciclo dell’acqua, essenziale per la vita sulla terra. Senza le nubi (temporalesche) non si manterrebbe il circuito elettrico del pianeta, che si scaricherebbe in pochi minuti. Le conseguenze sarebbero anche qui molto spiacevoli per la vita. Comunque, per nostra fortuna, un mondo senza nubi non è assolutamente possibile perché in atmosfera è presente il vapore acqueo in quantità sufficiente e perché sono presenti le particelle di aerosol che rendono possibile la formazione di goccioline e cristalli di ghiaccio.

Cosa sono le nubi?

Agglomerati sospesi di ‘idrometeore’, cioè di particelle liquide (goccioline e gocce) o solide (cristalli, fiocchi di neve, graupel, neve granulosa, e chicchi di grandine) che si trovano in sospensione e, quando diventano sufficientemente grandi e pesanti iniziano eventualmente a cadere, cioè ‘meteore’, dal greco Μετέωρα, letteralmente ‘in mezzo all’aria’.

Come si studiano?

In vari modi. Penetrandole con aerei strumentati opportunamente o con sonde ben costruite per studiarne il profilo verticale; utilizzando i radar meteorologici dal suolo oppure i sensori attivi (radar) o passivi (radiometri) sui satelliti meteorologici e ambientali.

I velivoli dedicati allo scopo sono normalmente aeroplani molto veloci perché debbono consentire al pilota di cavarsi d’impaccio molto velocemente in situazioni potenzialmente pericolose. Sono strumentati con sensori a risposta velocissima perché un aereo penetra una nube con tempo di permanenza di qualche secondo. Quindi , le risposte degli strumenti debbono essere dell’ordine del millisecondo. Si possono misurare la temperature, l’umidità, la velocità delle correnti ascensionali e discensionali, il tipo e la fase (acqua e ghiaccio) delle idrometeore e molto altro ancora. In buona sostanza, penetrare con un aereo è l’unico modo per effettuare misure in loco per caratterizzare appieno la struttura di un nube.

Perché ci sono queste differenze?

Se il mio scopo è quello di capire cosa sta effettivamente succedendo all’interno di una nubi in particolare, allora la debbo penetrare con un aereo strumentato, magari facendomi guidare dalla scansione di un radar meteorologico al suolo. Se il mio interesse è capire il potenziale precipitante di una nube, normalmente uso il radar al suolo o i sensori sui satelliti. Se il mio interesse è climatologico, cioè capire quale sia la loro distribuzione sui tempi lunghi del clima e sulle scale globali, allora l’unico modo è utilizzare la visione privilegiata dei sensori satellitari.

La ‘semplice’ osservazione non è corretta dal punto di vista scientifico?

Se per ‘osservazione’ intendiamo semplicemente ‘guardare’ una nube dal suolo, allora la risposta è sicuramente no. L’osservazione delle nubi per comprenderne la struttura richiede occhi molto esperti, ma spesso è impossibile senza conoscerne la struttura interna e questo è possibile soltanto con strumenti sofisticati che abbiamo descritto per sommi capi nelle righe precedenti.

Come possiamo riconoscere le nubi e capire se pioverà, farà freddo/caldo, tempesta (anche violenta, pericolosa) e così via?

La struttura ‘esterna’ di una nube ci fa in generale capire di che tipo si tratta. Ciascuno di noi con una minima conoscenza di inglese può visitare il sito della World Meteorological Organization (WMO) che contiene l’International Cloud Atlas . Qui si scopre che le nubi hanno una loro classificazione molto precisa e sono suddivise in nubi stratificate o a elevato sviluppo verticale, di bassa o alta quota, temporalesche oppure no e così via. Per il meteorologo esperto l’osservazione di una nube dice molte cose. Per esempio. Una nube temporalesca normalmente è una nube torreggiante inizialmente bianchissima e che molto rapidamente vira sul grigio ferro e sale rapidamente di quota. In questo caso arriva il temporale con conseguente caduta di pioggia intensa e/o fenomeni elettrici (fulmini) e grandine. Se siamo in estate e vediamo una distesa di nubi bianche che sembrano bambagia e tutte alla stessa altezza, possiamo stare sicuri che il tempo non varierà e la giornata calda procederà senza intoppi. Sono i cumuli di bel tempo. In inverno arriva un fronte freddo se vediamo uno spesso strato di nubi grigio ferro a sviluppo prevalentemente orizzontale. In questo caso, se la temperatura al suolo, è intorno allo zero, ci aspettiamo una nevicata. La nonna direbbe che “c’è aria da neve” e avrebbe ragione.

E ancora. Se vediamo nubi persistenti in quota sotto forma di baffi bianchi semitrasparenti in alta quota, questo vuol dire che c’è parecchio vapore acqueo in quota e si possono formare i cirri, appunto nubi semitrasparenti che regolano una parte dell’input radiativo da sole verso la superficie terrestre.

Quando il cielo è terso ma passa un velivolo e si creano quelle “strisce” particolari: sono nubi?

Sì, a tutti gli effetti. Stiamo parlando delle “scie di condensazione”. Sono nubi di tipo “cirro” costituite da cristalli di ghiaccio formatisi dal vapore acqueo presente in atmosfera che forma i cristalli sulle particelle solide emesse dagli scarichi dei motori dell’aereo. Sono più o meno persistenti a seconda del livello di umidità dell’atmosfera a quella quota e in quel preciso momento. Se l’atmosfera è molto secca, le scie svaniranno in pochi secondi e viceversa in caso di atmosfera molto umida.

Lei insegna fisica delle nubi a Bologna: cos’è?

La fisica delle nubi si occupa di studiare la genesi, evoluzione e dissipazione delle nubi, nonché la formazione della precipitazione. E pure della “microfisica” in primo luogo e cioè dei fenomeni fisici molto disparati che stanno alla base della formazione della singola idrometeora. Poi della termodinamica dell’aria umida, cioè la struttura termica del vapore e delle particelle di aerosol che rendono possibile la formazione di una nube piuttosto che di un’altra. Poi studia la dinamica della nube in termini del campo di vento e dell’interazione con le correnti a grande scala o con le catene montuose e i mari. Infine, la fisica delle nubi fornisce dati preziosi per far funzionare i modelli di previsione meteorologica e per i modelli climatici.

Le nubi sono (possono essere) legate ai cambiamenti climatici? I fenomeni ad esse associati sono gli stessi di 100 e passa anni fa?

Le nubi sono certamente legate ai cambiamenti climatici in uno stretto rapporto di causa/effetto. I fenomeni che portano alla formazione delle nubi non sono cambiati dall’alba dei tempi e quindi non ci aspettiamo una loro modifica fisica sulla scia dei cambiamenti climatici. Quello che ci aspettiamo è invece una modifica della distribuzione delle nubi su scala regionale e globale. I modelli climatici prevedono, ad esempio, fenomeni di precipitazione sempre più intensa, ma anche sempre più localizzata. Questo farà sì che si producano intense precipitazioni in alcuni luoghi provocando anche alluvioni molto rilevanti in alcuni momenti dell’anno. Per converso, altre zone sperimenteranno una sempre minore precipitazione e saranno soggette a fenomeni di desertificazione. Insomma, il meccanismo è estremamente complesso e dobbiamo stare bene attenti a ciò che immettiamo in atmosfera, sia come gas serra, ma anche come particelle di aerosol dalle nostre attività, come industria, trasporti, riscaldamento… Queste immissioni entrano nel ciclo di formazione delle nubi e ne modificano localmente la capacità di produrre precipitazione. La conseguenza è una possibile alterazione del ciclo dell’acqua.

È vero che la classificazione delle nubi si basa sull’aspetto ed è dovuta alla passione di un farmacista?

Sì, è verissimo! Il signor Luke Howard coniò per primo una classificazione visuale delle nubi in una presentazione del 1802 alla Askesian Society. Howard era un chimico e meteorologo amatoriale. Classificò le nubi con lo stesso metodo utilizzato da Linneo per le piante e gli animali, cioè utilizzando generi e specie con nomi latini (si veda, ad esempio, https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_cloud_types). Questa classificazione è mutata nel tempo, ma non nella sua essenza che è rimasta la stessa utilizzata ancora a livello del WMO. Anche se ovviamente sono stati aggiunti parecchi tipi di nubi col progredire delle conoscenze. L’ultimo in ordine di tempo è del 2017 e si chiama Asperitas, già osservato nel 2009 come nube a se stante.

Che ‘invenzione’ è, quella delle nubi?

La nube non è una ‘invenzione’. L’uomo ha avuto le nubi sulla propria testa da quando è apparso sulla faccia della terra. Ha imparato a osservarle e a capire sempre meglio i fenomeni meteorologici che sono loro associati. Ha capito sempre meglio che sono alleate e non nemiche, se vogliamo.

A che servono?

A cosa servono? Sarebbe come dire “a che serve un albero o un fiume”, per intenderci. Le nubi sono una componente fondamentale per il “funzionamento” dell’atmosfera in direzione di meteorologia e clima. Sono essenziali per assicurare la precipitazione e quindi la chiusura del ciclo dell’acqua: evaporazione, condensazione, precipitazione, ruscellamento, percolazione nei suoli, incanalamento nei mari e di nuovo evaporazione. Senza le nubi tutto ciò non sarebbe possibile e non sarebbe possibile la vita sulla terra così come la conosciamo. Sono anche un ombrello essenziale per proteggere la nostra terra dalla radiazione solare e per regolare la temperatura e il clima del pianeta.

 Le nubi ci parlano?

Ci parlano? Certamente non dobbiamo pensare a nulla di esoterico perché sono fenomeni fisici e basta. Tuttavia, quando si è in montagna e la faccia si bagna perché piccole goccioline microscopiche vengono portate dal vento, questo è segno di formazione incipiente di una nube e di cambiamento del tempo. Quando si sente il tuono, vuol dire che un fulmine è appena caduto e quindi la nube ha sviluppato molte idrometeore ghiacciate. Sempre durante un temporale, quando sentiamo aria fresca che ci investe sappiamo che sta cadendo pioggia nelle vicinanze. Insomma, le nubi parlano con una quantità di segnali che, opportunamente ascoltati, parlano una lingua comprensibile e utile per capire ciò che sta succedendo nel cielo sopra le nostre teste.

 

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