Esce domani “Il genio infelice” di Carlo Vulpio, Il romanzo della vita di Antonio Ligabue (Chiarelettere, Milano 2019, Narrazioni, pp 264, euro 17,60)
Un romanzo che racconta la vita di un personaggio inquieto e in qualche modo ribelle alla mentalità comune del suo tempo e più che mai del nostro.
La storia è quella di Antonio Ligabue, il Van Gogh italiano del Novecento che ha seguito un’azione contraria e ostinata rispetto alle pretese della società dell’epoca: un vero e proprio manifesto libertario che rappresenta un uomo che si vuole ribellare alla mondanità fatta di scelte prestabilite e di un conformismo che non accetta attraverso le sue opere artistiche, immagini di una natura potente e selvaggia.
Questa la storia che Carlo Vulpio racconta, in forma di romanzo, nel suo “Il genio infelice” la storia di una vita tormentata, inquieta, ma esemplare soprattutto per il periodo in cui stiamo vivendo, in cui la fantasia e la libertà di essere se stessi per assecondare le proprie inclinazioni e dunque la propria natura, vengono soffocati in nome di schemi di vita prestabiliti e sterili, che non contemplano neanche la possibilità di essere scelti. Un manifesto libertario, un inno alla creatività, alla natura e alla bellezza che oggi più che mai, vanno pensati e rivalutati nella loro fondamentale ed essenziale importanza.
Carlo Vulpio, autore di diversi libri e attualmente una delle firme del “Corriere della Sera” che si è occupato di cultura, arte, tematiche ambientali e cronaca, lavorando per i principali giornali nazionali, ci porta in questo nuovo libro alla scoperta di una delle figure più affascinanti dell’arte italiana del Novecento.
Una storia, quella di Ligabue, tanto preziosa e significativa da essere immortalata prima in un celebre sceneggiato Rai della fine degli anni Settanta, con Flavio Bucci strepitoso protagonista, e oggi in un film per il cinema, annunciato per il 2019, con Elio Germano nei panni dell’artista.
Dando anche solo un primo e iniziale sguardo alle opere di Antonio Ligabue, si percepisce subito la necessità che si cela dietro esse di esprimere una voce, delle urla per troppo tempo soffocate. Una necessità come la sua che non può essere taciuta per sempre e che prima o poi trova il modo per uscire fuori, per essere sfogata.
E Antonio Ligabue trova il modo per esprimerla attraverso la sua pittura selvaggia, forte, appassionata e anche arrabbiata, una pittura che a guardarla, sembra prendere vita e uscire da quelle stesse tele per poter ruggire senza alcun limite.
Una pittura che lo slega da quel mondo che lo vuole incatenare con le sue regole opprimenti, con un conformismo che mal tollera e non per sua scelta, ma a causa di quel suo istinto primordiale che non riesce a reprimere e che lo porta a sentirsi a suo agio, trovando pace e meraviglia, esattamente come colui che si trovi finalmente di fronte a qualcosa di vero e autentico, solo davanti agli animali reali o frutto della sua immaginazione che talvolta compaiono trasfigurati per rappresentare la ferocia umana e quella stessa vita come perenne lotta di prevaricazione e non di sopravvivenza.
Nato a Zurigo (1899-1965) da una ragazza madre di Belluno, 3 cognomi, continuamente abbandonato dai suoi padri e costretto a stare negli istituti per la disastrosa situazione della madre, Antonio ha un’infanzia infelice, difficile, tormentata, fatta dei suoi silenzi e di gesti di ribellione di fronte al caos di quel mondo che lo circonda.
Un uomo fragile, ma orgogliosamente solitario, autodidatta, geniale, visionario, chiamato Toni al mat, il matto, nella Bassa padana. Le sue opere denunciano quest’assurdità insita nell’uomo che diventa estraneo alla natura proprio nel momento in cui è convinto di averla in pugno, sotto il suo totale dominio, diventando così, attraverso la sua stessa arte, testimone di un secolo di distruzione e follia. Non rimane che immergersi in questa affascinante ed entusiasmante lettura!