(Adnkronos) – "L’unico rimpianto è non aver potuto fare qualcosa per salvare Sharon. Se fossimo stati più vicini al luogo dell’omicidio, forse avremmo potuto salvarla". E' il racconto a 'Repubblica' dei due giovani italiani di origine marocchina che con la loro testimonianza hanno dato un aiuto decisivo per arrivare a Moussa Sangare, l’assassino reo confesso di Sharon Verzieni, raccontando ai carabinieri di quell’uomo di origine africana in bicicletta che avevano incrociato la notte dell’omicidio. Quella notte? "Io mi sto allenando per il titolo italiano di kickboxing, ho l’incontro il prossimo 21 settembre. Lui gioca a calcio in prima categoria. Quella sera eravamo usciti come al solito molto tardi per allenarci – hanno detto – Era più o meno mezzanotte, eravamo a Chignolo vicino alla farmacia e davanti al cimitero dove ci siamo fermati per fare delle flessioni. A quel punto sono passati due nordafricani in bicicletta, poi un terzo. Lui ci è rimasto impresso, perché era un po’ strano. Aveva una bandana in testa e un cappellino, uno zaino e gli occhiali. Ci ha fissato a lungo e poi ci ha fatto una smorfia. Non lo avevamo mai visto prima". "Abbiamo raccontato di quel ragazzo quando siamo stati chiamati in caserma. Siamo rimasti sorpresi, non abbiamo mai pensato che l’assassino potesse essere lui – hanno aggiunto – Anche se si vedeva che era uno che non stava bene. Abbiamo provato comunque un grande sollievo, perché non avevamo saputo più nulla sulle indagini. Ora ci sentiamo orgogliosi per essere stati utili all’identificazione dell’assassino. Il rimpianto che ci resta è di non aver potuto fare qualcosa per Sharon. Non essere stati più vicini a via Castegnate. In quel caso forse avremmo potuto salvarla. Magari l’assassino ha visto una preda facile, come quei due ragazzini che voleva aggredire. Quando ha incrociato noi, invece, ci ha solo guardato male ed è andato avanti". —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)