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Carne coltivata, non sintetica: una risorsa per il futuro

Carne coltivata, non sintetica: una risorsa per il futuro
Photo Credit: Depositphotos

Il dibattito sulla carne coltivata è aperto da settimane. Come accade spesso, nel nostro paese, i fronti contrapposti rischiano di non far guardare all’essenza delle cose. Cerchiamo di capire meglio la delicata questione.

Carne coltivata si, carne coltivata no. Da diverse settimane nel paese delle opposte tifoserie imperversa il dibattito. Poi, con le proteste degli agricoltori, la strumentalizzazione di legittime rivendicazioni, è sempre pronta. Si possono apprezzare diverse cose di questo governo, inutile fare opposizione a prescindere se alcune iniziative sono interessanti, ma sul discorso carne coltivata (che impropriamente chi non la vuole o non la comprende, continua a chiamarla carne sintetica e non se ne capisce il perché visto che non è fatta coi derivati del petrolio), proprio non ci siamo. Come sulla caccia e su molte altre direttive che coinvolgono gli animali.

La questione potrebbe essere facile: chi la vuole la carne coltivata la compra, chi non la vuole no. In un paese dove si legittima anche andare a pranzo col demonio, dove si vendono le sigarette purché ti ricordino che “dobbiamo morire” e dove sugli scaffali troviamo di tutto e di più, no, la carne coltivata non deve esserci. E non se ne capisce il motivo (o forse si e lo vedremo più avanti).

Il governo, infatti, non si accontenta solo di opporsi alla produzione e alla diffusione della carne coltivata in Italia, no, vuole che non si diffonda anche in Europa. Non è da ritenersi una buona notizia, nonostante i toni trionfalistici della difesa del Made in Italy che, pur avendo una sua logica, a tratti e su certi argomenti, pare peggio della retorica che a Roma e a Milano, va tutto bene, l’immondizia non c’è, la sicurezza del cittadino e delle donne, soprattutto, di notte, nelle stazioni, è garantita. Non è una buona notizia perché si rischiano di perdere finanziamenti e posti di lavoro, privando i consumatori di una scelta che, al di là di quanto sia sana e sostenibile (e per chi scrive e per molti scienziati lo è), dovrebbe essere assicurata. “Più che le tradizioni poteron le lobby”, bisognerebbe dire. Sarà possibile un cambio di rotta?

Nel luglio del 2013, Mark Post, ingegnere tissutale dell’Università di Maastricht, presenta al mondo il primo hamburger di carne coltivata. Una polpetta ottenuta facendo crescere cellule staminali fatte differenziare in cellule muscolari. Sarà il prototipo di quei prodotti che oggi sono già in vendita in diversi Paesi.

Sottolinea la scrittrice Agnese Codignola (scrittrice, giornalista, divulgatrice scientifica. Il suo ultimo libro è Il lungo Covid. La prima indagine sulle conseguenze a lungo termine del virus,Utet, 2022, qui il LINK all’articolo completo pubblicato su Lucy, rivista multimediale che si occupa di cultura, arti e attualità): Ho avuto modo di intervistare Post a più riprese, in questi anni, e mi ha sempre ripetuto una cosa: l’Europa si dovrà decidere. Oggi non può davvero più aspettare, perché l’assenza di una posizione chiara, e delle relative regole, sulla coltivazione della carne, sta frenando i ricercatori e gli investitori, e sta privando i cittadini di una scelta di consumo sostenibile, mentre il mondo accelera. 

È una prova cruciale (specialmente dopo il grottesco e ideologico divieto agli OGM del 2018, di cui l’Europa si è poi ampiamente pentita, e cui sta cercando di porre rimedio oggi con le norme sull’editing genetico). Perché farà capire se gli impegni del Green Deal, o quelli dell’Agenda 2030, sono parole vuote, slogan inermi di fronte agli interessi delle lobby dell’agricoltura e dell’allevamento, o se invece si intende davvero andare verso un mondo più sostenibile e più giusto, nel quale le proteine, la cui domanda è in crescita costante, arriveranno anche da fonti che non devastino ulteriormente il pianeta: la carne coltivata è sicura per la salute umana, può abbattere le emissioni, il consumo di suolo, di acqua, di energia elettrica – ed evita inoltre la sofferenza animale. Eppure il fronte contrario è ancora forte, alimentato dal grande sforzo comunicativo delle lobby dei produttori e appoggiato da molte correnti politiche che – contro la logica, la scienza, l’ecologia – preferiscono banalizzare il discorso, alimentare lo scetticismo e cavalcare il consenso”.

Avete capito bene, sì, i fronti sono ampiamente contrapposti e come per gli autovelox, il rischio è che, con la scusa della salute e della sicurezza, si manipolino le coscienze per privare i consumatori di una scelta, in realtà, più che auspicabile. La domanda è: perché davvero non aprire un confronto tra scienziati e istituzioni che siano davvero capaci di ascoltarsi a vicenda e dove si portino studi referenziati (e sono la maggioranza) piuttosto che tesi non attendibili utilizzate per delegittimare la parte contraria? Perché l’intento di quella nota non è davvero quello di chiedere di ascoltare la scienza – unanimemente favorevole alla coltivazione della carne – ma quello, paradossale, di cercare di delegittimare il processo citando, come vedremo, studi non attendibili. Si chiede più scienza per poi dare spazio all’esatto contrario. La verità è che siamo sempre in campagna elettorale e si devono acchiappare voti. Sarebbe auspicabile sentir di sostenibilità delle filiere alimentari, di innovazione o di proteine alternative più che di tradizioni alimentari. Soprattutto quando preservarne alcune non significa fare bene all’ambiente e alla salute.

Stando a quanto riportato da Agnese Codignola, divulgatrice scientifica attenta, “la carne coltivata (di pollo) è già autorizzata a Singapore e in Israele (di pollo dal 2020, e di recente anche di manzo). Nel 2023 è arrivato il benestare dello US Department of Agriculture. Le stesse aziende hanno chiesto in Gran Bretagna e Svizzera di velocizzare gli iter burocratici. In Gran Bretagna, per iniziativa dell’Università di Bristol, è nata la prima biobanca per cellule da coltivare a fini alimentari“. Una soluzione importante perché consentirebbe ai ricercatori di procedere non solo in maniera più veloce ma più sicura e ai produttori di lavorare con cellule più che controllate in modo da garantire al consumatore cosa stiano veramente mangiando.

I Paesi Bassi, pur rispettando le leggi comunitarie, hanno anche varato una deroga alle stesse, per permettere alcune degustazioni in maniera da facilitare la confidenza con i nuovi prodotti. Inoltre, dopo Israele e Stati Uniti, diversi paesi come la Spagna, la Gran Bretagna e la Svizzera hanno avviato la costruzione dei primi bioreattori su scala industriale.

La ricerca è poi in continua fibrillazione. Ci sono settimanalmente soluzioni diverse per coltivare proteine di carne, di pesce, o molluschi e abbinarle con quelle di tipo vegetale o con i funghi. Se il futuro non è quello auspicato in Italia, molte Università come la Tufts di Medford di Boston, hanno avviato il primo corso di laurea in agricoltura cellulare, per formare gli specialisti di domani. E se ciò accade in America, dove il consumo di carne è quello che conosciamo, perché non potrebbe essere un’alternativa per chi vuole cibarsi tutti i giorni di carne come se ciò rappresentasse un simbolo di raggiunta ricccheza? (vedi Cina e paesi asiatici).

Il mondo, dunque, appare molto più favorevole alla carne coltivata rispetto al nostro paese. Perché? Il motivo è semplice. Ci sono interessi specifici che non devono essere toccati (con buona pace della nostra sicurezza alimentare e della nostra libertà di scelta), che condizionano la politica (mi viene da pensare, vista l’attualità, sia a destra e a sinistra) e che cercano di ostacolare in tutti i modi un futuro più etico e sostenibile. Un futuro che, in caso contrario, pottrebbe creare un “lockdown economico” alienando la possibilità di creare posti di lavoro e investimenti miliardari.

Scrive ancora Agnese Codignola: L’agenzia per la sicurezza alimentare (EFSA) scrive le linee guida ispirandosi a quelle per l’approvazione dei nuovi farmaci: un’assurdità che nessun paese ha mai proposto prima, perché le carni coltivate sono alimenti, e in quanto tali dovranno sottostare alle già severe regole comunitarie sulla produzione di cibo, diverse rispetto a quelle, in questo contesto inapplicabili, dei farmaci. La richiesta, inoltre, non tiene conto del rapporto della FAO secondo il quale qualsiasi rischio potenziale “…è già ben noto, ed esiste altrettanto negli alimenti prodotti convenzionalmente” – non c’è quindi bisogno di sperimentazioni ad hoc, ma solo dei normali controlli. Perché non c’è alcuna ragione scientifica per pensare che la carne coltivata si comporti diversamente da quella classica, essendo costituita dalle stesse cellule.

Chiedono poi una valutazione di impatto ambientale, facendo riferimento a un cosiddetto studio, del tutto screditato, condotto da alcuni ricercatori dell’Università della California di Davis finanziati dai produttori di carne tradizionale, mai uscito su una rivista peer review (dove i risultati sono cioè sottoposti a revisori anonimi, scienziati esperti del settore a cui viene chiesto di giudicare la qualità degli studi sottoposti). La ricerca era parte integrante di una campagna di disinformazione, come ha dimostrato la Changing Markets Foundation. Indicava impatti ambientali pesanti, per la carne coltivata, ed è presto diventata il mantra di tutti coloro che vi si oppongono. Esattamente come accaduto con la vicenda ormai storica della falsa correlazione tra vaccini e autismo, basata su dati inventati, pubblicati in un unico studio da un medico radiato, anche questa pubblicazione continua a rilasciare le sue emissioni tossiche. Ed è citata da chi, teoricamente, chiede pronunciamenti basati sulla scienza”.

In realtà, riportando altri numerosi studi e ricerche, rispetto alla carne proveniente da animali allevati, il calo delle emissioni risulterebbe essere attorno all’80-90%, come quello del consumo di suolo e di acqua. Idem per l’energia elettrica che si ridurrebbe di quasi il 50%.

La nota dell’EFSA parla anche di un argomento che sta molto a cuore chi vorrebbe un mondo diverso ossia l’aspetto legato alla sofferenza animale. Si parla di impiego di siero fetale prelevato dai feti bovini, per i terreni di coltura. Il siero fetale viene in realtà molto utilizzato nella ricerca di base, non dai produttori di carne coltivata, la maggior parte dei quali sta mettendo a punto sieri del tutto privi di sostanze animali, sia per ragioni etiche sia per motivazioni economiche, perché i sieri animali, oltretutto, sono troppo cari. Se si vuole parlare di sofferenza degli animali, non bisogna farlo strumentalizzando un argomento così sensibile: basterebbe ricordare che, solo in Europa, ogni anno vengono macellati 8,4 miliardi di animali.

Fonte: Lucy sulla cultura.

Photo Credit: Depositphotos.

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