Da Il tesoro degli ashanti. Viaggio in Ghana a La figlia del Maharaja, Viaggio in India. Nei libri di Francesca Giommi ritroviamo il senso più puro del viaggiare: quello capace di coincidere con l’apertura al mondo, alla ricchezza della diversità e alla riflessione di sé.
Francesca Giommi, dottore di Ricerca in Letterature postcoloniali, africane e di migrazione, autrice di quello che Patrizio Roversi ha definito un “librido”. Collabora con le pagine culturali de L’Indice e Il Manifesto. Per l’Espresso ha curato un reportage sul Ghana. Quando non è in viaggio, descrive a visitatori da tutto il mondo, le bellezze del suo Montefeltro.
Con Aras Edizioni ha pubblicato Il tesoro degli Ashanti. Viaggio in Ghana, (finalista al Premio Letterario Rai “La Giara” per autori emergenti e al Premio “L’Albatros”per la Letteratura di Viaggio). Intervistarla significa percorrere il mondo con le parole e con i sogni, con le prospettive di un migliore universo perché la sua sensibilità la pone in primis come grande e profonda “dispensatrice” di bellezza. E, di questi tempi, non mi pare affatto cosa da poco.
Tra le sue fatiche letterarie troviamo “La figlia del Maharaja, Viaggio in India” (Aras Edizioni, Collana Le valigie di Chatwin, pp. 168, € 15). Nella post-fazione al volume l’inossidabile Patrizio Roversi, “turista per caso” e indomito viaggiatore, lo ha definito un “librido” ossia “un ibrido tra generi, un po’ documentario, un po’ guida turistica, un po’ trattato antropo-filosofico ma anche libera narrazione”. Nel romanzo, gli assoli del pensiero di Beatrice, giovane protagonista de La figlia del Maharaja, si intrecciano al coro rumoroso di un gruppo vacanze variegato, e duettano con le meraviglie dell’India, sapientemente raccontate da Raji, dottissima guida locale.
Con empatia e rovesciante ironia, l’autrice, guida lei stessa e instancabile viaggiatrice, ha saputo raccontare in questo romanzo composito la terra del viaggio per eccellenza, con dovizia di dettagli e percezioni sensoriali, tra storie, divinità, architetture e tradizioni.
Si arriverà così, evitando la retorica del fascino maliardo dell’India ma anche un certo pietismo, all’ultima pagina con la stessa nostalgia che lasciano i viaggi quando finiscono troppo presto. Con Francesca Giommi, in questa intervista, parliamo di viaggi e del mondo che non smette di sorprenderci.
Francesca, partiamo così: cosa significa per lei il viaggio e anche il “viaggiare sostenibile”?
Viaggiare è parte fondamentale del mio vivere, come mangiare e respirare direi!
Da quando ho iniziato a farlo in autonomia (da ormai 25 anni quindi, senza contare i viaggi di famiglia o le gite scolastiche) ho sempre inteso il varcare i confini, la scoperta dell’ignoto e l’incontro con l’altro come componenti fondamentali della mia crescita, ma anche della mia stessa quotidianità (per viaggiare e scoprire non è sempre necessario andare troppo lontano!) e negli anni è diventata una necessità, acuita dalla consapevolezza che il mondo è vasto e che non riuscirò mai a visitarlo tutto, ma mi auguro buona parte almeno! Viaggiare “sostenibile” (nel rispetto dell’ambiente, dei popoli e delle culture) è una modalità che si acquisisce quando ci si rende conto che viviamo tutti su un unico pianeta, che siamo tutti interconnessi e non ci sono dunque terre lontane da depredare o popolazioni di seconda classe alle cui spese addossare il nostro benessere, e allora diventa un’acquisizione incontrovertibile!
Quale libro, tra quelli che ha scritto, meglio la rappresenta?
Direi forse il primo, “Il tesoro degli ashanti. Viaggio in Ghana”, sia perché l’Africa è da sempre il continente extra-europeo dove torno con più assiduità e frequenza, la mia grande passione e specializzazione (oltre ad essermi laureata in letterature africane e ad aver conseguito un dottorato nella stessa materia, con una tesi sulla letteratura Black British e di migrazione, da quindici anni me ne occupo a livello accademico e giornalistico partecipando a convegni, festival e conferenze, contribuendo con pubblicazioni di studio a riviste, raccolte e miscellanee e collaborando con testate nazionali come “Il Manifesto”, “L’indice dei Libri del Mese” e “L’Espresso”), sia perché racconta il mio primo vero viaggio “sotto l’equatore”, compiuto ormai oltre quindici anni fa da giovane studentessa, in un paese meraviglioso come il Ghana appunto, ricco di storia e bellezze artistiche e paesaggistiche, e dello stupore che la protagonista, Isabel, prova pagina dopo pagina, chilometro dopo chilometro nello scoprirlo passo passo. Quello stupore che anima ogni mia ripartenza e vorrei continuare a provare fino all’ultimo viaggio!
“La figlia del Maharaja, Viaggio in India”: raccontiamo come questo libro e soprattutto spieghiamo il fascino dell’India
Anche questo secondo libro narra di un mio reale viaggio, fatto però più di recente, in età più matura e con maggiore consapevolezza ed esperienza. La protagonista, Bea, in questo caso non viaggia sola (come faceva Isabel nel precedente), ma con un’allegra combriccola di turisti italiani, che da una parte le dà il pretesto di benevole e ironiche considerazioni sulle nostre “nostalgie e idiosincrasie all’estero”, dall’altra le fornisce una sorta di “protezione” (quando necessaria) da incontri troppo diretti o scioccanti con la talvolta dura realtà indiana. Ma l’India è ovviamente anche e soprattutto meraviglia e va gustata appieno ad ogni boccone, reggia di Maharaja, tempio induista o mausoleo musulmano da mille e una notte, cittadina medievale, caravanserraglio o mercato… e qui Bea si immerge con tutti i sensi, e per lo più da sola, per coglierne i gusti, i colori, i suoni e gli odori, carpire il chiacchiericcio delle donne e dei mercanti e afferrare bagliori di quel fascino maliardo e impalpabile che la parola non può del tutto arrivare a descrivere ma può solo tentare di evocare.
Patrizio Roversi che ha scritto la post-fazione al volume lo ha definito un “Librido”: in che senso?
Patrizio, grande e generoso amico e viaggiatore, l’ha definito un “librido” (cioè libro-ibrido) con un fantastico e ironico gioco di parole, che descrive perfettamente non solo la persona meravigliosa e fantasiosa che lui è, ma anche la natura composita del mio libro, frutto di esperienze reali e di tanta ricerca, ma anche contaminazione il più possibile accessibile e leggera di generi diversi (dal diario al saggio filosofico ad esempio, intersecando il memoir con la narrazione romanzesca), per cui ho studiato e lavorato tanto in fase di scrittura (per un intero anno di pandemia!), tentando di arrivare a trasmettere ad un pubblico più eterogeneo e trasversale possibile un paese multiforme e infinitamente ricco, ma filtrandolo attraverso la mia esperienza personale e il mio necessariamente limitato e modesto punto di vista (impossibile fare diversamente, per un paese così sconfinato e per una narrazione di viaggio che non abbia pretesa enciclopedica!).
Lei è studiosa dell’Africa, dottore di Ricerca in Letterature postcoloniali, africane e di migrazione. Vorrei approfondire alcuni aspetti:
- come nasce questa passione per l’Africa;
- di cosa ha più bisogno l’Africa e cosa è più necessario per aiutare questo straordinario continente;
- da studiosa di migrazioni, come riuscire a gestire questa colossale emergenza in rapporto alla povertà, ai cambiamenti climatici e alla situazione mondiale;
- non credi che la sempre maggiore presenza della Cina in Africa possa portare ulteriore sfruttamento a quei poli?
- l’elettrico e le risorse da reperire in Africa: occasione per l’Africa o ulteriore condanna?
La risposta da parte di una studiosa che se ne occupa a tutto tondo da circa 25 anni potrebbe essere davvero smisurata (e rischiare di diventare noiosa o inutilmente tecnica). In sintesi, mi sentirei di dire che l’Africa è un continente antico, vasto, variegato e potenzialmente ricchissimo (di bellezze paesaggistiche e di risorse umane e materiali di ogni tipo, dall’elettrico al minerario, dai legnami pregiati alle specie ittiche che ne popolano gli oceani), ma che troppo a lungo ha subito incursioni, sfruttamenti e speculazioni, con forme atroci di colonialismo e neo-colonialismo che tutt’ora perdurano provenienti da almeno tre continenti (e in questo anche l’Italia ha avuto la sua parte, troppo spesso ignorata o dimenticata), che hanno creato (o acuito) guerre, povertà e indebitamenti cronici, nonché cambiamenti climatici e traffici umani pericolosissimi (come il racket della prostituzione verso le capitali europee e dei migranti nel Mediterraneo, o il commercio di organi soprattutto verso ricche cliniche statunitensi). Soluzioni semplici purtroppo non ne ho da suggerire (magari ne avessi!), ma vorrei elencare alcune parole a mio avviso chiave per riequilibrare le sorti mondiali, come “rispetto”, “senso di responsabilità” e “dignità umana”, che sarebbero ottimi punti di partenza.
L’approccio femminile al viaggio: penso a Beatrice, la protagonista de La figlia del Maharaja
Le mie protagoniste (Isabel in “Il tesoro degli ashanti” e Beatrice in “La figlia del Maharaja”) sono giovani viaggiatrici che fanno delle parole chiave di cui sopra (“rispetto” e “dignità umana”) il loro mantra, e che rispecchiando più o meno fedelmente le mie esperienze di viaggiatrice, incontrano popoli e culture ponendosi sempre in dialogo, ascolto ed empatia, accogliendone la diversità come ricchezza e trasmettendone le storie come patrimonio. Non so se questo sia un approccio solo femminile (sicuramente in antitesi a quello giudicante e dominante coloniale, per lo più maschile), ma io per certo, come donna e come viaggiatrice, amo entrare in punta di piedi in “mondi altri”, lasciare una piccola traccia o memoria quando possibile, e portarne a casa tutta la bellezza! Poi, da quando scrivo, prevale anche il desiderio di non trattenerla avidamente solo per me, ma condividerla e diffonderla.
In quali parti del mondo si è sentita più a casa propria e in quali meno?
Oltre alla ovvia familiarità con tutte le nazioni della nostra vecchia Europa (che ho girato direi in lungo e in largo, sia per passione che per professione negli ultimi due decenni), e a una particolare propensione per l’Inghilterra (e la sua lingua e cultura in senso lato, soprattutto letteraria), dove ho trascorso lunghi periodi di studio e ricerca sentendomi quasi “di casa” a Londra, tra gli altri continenti ho una maggiore dimestichezza, come detto, con il continente africano, per i lunghi anni di studio che vi ho dedicato e i vari viaggi che vi ho compiuto (già citato il Ghana, ma poi anche il Kenya, l’Egitto e l’Etiopia, tra gli altri…), mi ci sento dunque sempre a casa ma ne avverto spesso forti e dolorose le contraddizioni. Negli Stati Uniti ho soggiornato per alcuni mesi in anni diversi sulle due coste, per scambi di studio con alcune prestigiose università (Brown University a Providence e UCLA a Los Angeles), apprezzandone da un lato la vitalità e le potenzialità, ma non riconoscendomi dall’altro nel consumismo che vi si respira, al di là degli stereotipi, e arrivando alla conclusione che non fosse il posto per me, anche quando avrei avuto occasione di protrarre la mia permanenza e magari renderla definitiva. L’Asia infine è il continente di più recente scoperta, ho per ora visitato solo Turchia, Nepal e India, con viaggi turistici troppo brevi per sentirmene parte, ma con, proprio per questo, il grande desiderio di approfondire ed espandere la conoscenza in futuro (così come l’Oceania, che è ancora terra incognita…), ma poi, ad ogni ripartenza, l’Africa mi richiama spesso prepotentemente!
Da Storico delle religioni, sono stato affascinato dalle Upanishad, dalla Baghavad Gita. Quanto è importante questo aspetto per lei e se in India hai potuto riscontrare la dimensione spirituale ancora presente e in che modo?
La vita quotidiana in India è ancora permeata dalle religioni a quasi tutti i livelli (nel bene e nel male, basti pensare agli attuali fondamentalismi al governo, con pericolosissime ripercussioni!) e quando la tolleranza era il principio fondante della convivenza tra tutte le culture di questo vasto subcontinente, hanno prodotto capolavori artistici, culturali e letterari di inestimabile valore come quelli che lei cita! Io personalmente ho avvertito fortemente l’ancora profonda spiritualità che trapela da ogni cittadina, tempio o crocicchio, e lo descrivo in diverse circostanze e capitoli del mio libro. Soprattutto nel rapimento estatico e nella catarsi che l’incontro con il Gange suscita in tutti i viaggiatori, anche in quelli dapprima più scettici e scanzonati, ma non sveliamo troppo sull’epilogo, o che gusto c’è?
Cosa si sente di aggiungere per concludere la nostra chiacchierata?
Come primo viaggio in programma dopo questa lunga e sofferta reclusione forzata, tornerò per prima nella verde e mitica Irlanda a fine luglio per lavoro, ma tra le mete “impellenti” e solo sospese dalla pandemia ho ancora l’Etiopia del nord, l’India del sud, la Cina e il Giappone… (e una cinquantina almeno di altre destinazioni!).
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