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Il buco dell’ozono si sta chiudendo, ecco perché

Foto di Pexels da Pixabay

L’ONU ha “sentenziato” in maniera inequivocabile: per il 2045 il buco nello strato di ozono sopra l’Artico si sarà completamente riformato tornando ai livelli del 1980. Nell’Antartico invece questo recupero è previsto entro il 2066 circa. Raggiungimenti che saranno possibili se le strategie internazionali per salvaguardare lo strato di ozono saranno rispettate come accordato nel protocollo di Montreal del 1987.

Nonostante i cambiamenti climatici, buone notizie sembrano arrivare dal “Fronte dell’ozono”. Un argomento di cui si parla da mesi e che sembra in “costante aggiornamento”. Il report Scientific Assessment of Ozone Depletion” ci concede, una volta tanto, di essere ottimisti e guardare con fiducia al futuro. Viene confermata, infatti, la graduale eliminazione di quasi il 99% delle sostanze responsabili dell’assottigliarsi dello strato di ozono. Questo traguardo, che sembrava impossibile solo qualche anno fa, potrebbe diventare una certezza. Soprattutto se si continuerà sulla strada intrapresa ossia quella della cooperazione tra Stati e corretta applicazione degli accordi ambientali e alla cooperazione tra stati.

Il buco dell’ozono, ricordiamo di cosa si tratta

L’ozono è un gas che si crea naturalmente nell’atmosfera quando le molecole di ossigeno vengono divise da fattori naturali in singoli atomi, combinandosi poi con molecole di ossigeno adiacenti. Il processo risulta in una molecola formata da tre atomi di ossigeno (O3), che ha la capacità di trattenere e assorbire parte dell’energia proveniente dal sole.

In particolare, l’ozono in atmosfera costituisce uno strato protettivo (l’ozonosfera) che blocca il passaggio dei raggi UV provenienti dal sole e le conseguenti radiazioni ultraviolette che mettono in pericolo la vita sul nostro Pianeta. Data la circolazione dell’aria sul pianeta, la distribuzione dell’ozono nell’atmosfera non è sempre costante: varia a seconda del periodo dell’anno e tende ad assottigliarsi maggiormente in zone come i poli e all’equatore.

Ed è precisamente studiando i poli che, alla fine degli anni Ottanta, diversi ricercatori mostrarono come lo strato di ozono presente sopra l’Antartide si stesse assottigliando di anno in anno, tanto da coniare l’espressione “buco dell’ozono”.

Sebbene la variazione dell’ozono stratosferico sia principalmente legata a cause naturali (e in particolare all’attività solare), la marcata diminuzione osservata negli ultimi decenni in particolare sulla stratosfera antartica è riconducibile alle attività umane e, in particolare, all’emissione di composti chimici dannosi per l’ozono stratosferico, fra cui quelli clorurati e fluorurati (per esempio, i clorofluorocarburi-CFC), diffusi a lungo nelle bombolette spray, solventi, circuiti refrigeranti e in lavorazioni industriali specifiche (e.g., polistirolo espanso). La formazione del buco dell’ozono, insomma, come per l’effetto serra e il conseguente riscaldamento climatico, è una conseguenza della preoccupante immissione in atmosfera di sostanze inquinanti da parte dell’uomo.

Si sta chiudendo? Ecco i motivi

La chiusura del buco dell’ozono è un’ottima notizia per il Pianeta, ed è un avvenimento che é potuto accadere grazie a decenni di collaborazione internazionale. Nel 1987, esattamente dopo la scoperta del buco dell’ozono sopra l’Antartide, 46 paesi firmarono il Protocollo di Montréal, che imponeva la progressiva riduzione della produzione di CFCs. Quando, nel 1990 il fenomeno cominciò ad apparire anche sopra il Polo Nord, più di 90 paesi aderirono al protocollo.

Come ha dichiarato Meg Seki, segretario esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP): ”L’impatto del Protocollo di Montreal sulla mitigazione dei cambiamenti climatici non può essere sottolineato oltre”. Il segretario generale dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale Petteri Taalas ha confermato: il protocollo di Montreal ha contribuito anche alla lotta al cambiamento climatico: “Il nostro successo nell’eliminare gradualmente le sostanze chimiche che danneggiano l’ozono ci mostra cosa si può e si deve fare – con urgenza – per abbandonare i combustibili fossili, ridurre i gas serra e quindi limitare l’aumento della temperatura“.

Combattere il riscaldamento globale

Attenzione però a quanto ricordato dall’Ispra: “Ma per ripristinare la situazione precedente alla comparsa del buco dell’ozono (o quantomeno per avvicinarsi a quella condizione) occorrerà molto tempo, sia perché i CFC hanno una durata di vita di decenni, sia perché per arrivare nella stratosfera impiegano anni. Se verranno rispettati gli impegni previsti dal Protocollo, le sostanze accumulate nella stratosfera continueranno la loro azione distruttiva ancora per un lungo periodo e solo tra molti anni (si stima nel 2060) si concluderà il processo di ripristino della fascia di ozono“.

Nonostante questa buona notizia, non bisogna dimenticare che gli ultimi otto anni sono stati i più caldi mai registrati a causa di das serra e calore accumulato dagli stessi. Misure drastiche dovranno essere prese per rispettare l’accordo di Parigi, siglato nel 2015, evitando di superare la soglia di 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Aspettiamo Cina e Stati Uniti a dimostrare tutta la loro buona volontà.

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