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Perdersi a Roma, flânerie per camminare con chi la racconta

Perdersi a Roma, flânerie per camminare con chi la racconta
Foto @Daniele Del Moro

Perdersi a Roma, il libro di Roberto Carvelli. Una “non-guida” che è un racconto personale, un invito a perdersi nella Città Eterna ritrovando dentro se stessi il senso di un viaggio che trasforma

Perdersi a Roma, nei suoi vicoli, tra i suoi antichi tracciati, le sue ville storiche, è qualcosa di magico. Soprattutto se ci si lascia prendere per mano da un libro come questo che ci accompagna alla scoperta dell’ineffabile e della “Grande Bellezza”. E ci aiuta anche “indagare” la Roma dei “fattacci” con fare quasi “lucarelliano”..

Perdersi a Roma, Guida insolita e sentimentale di Roberto Carvelli (Ediciclo Editore, 256 pagine, Collana Tascabili Ediciclo, Euro 13) è un percorso di paesaggi e luoghi del cuore che non trova posto nell’ufficialità celebrata dalle guide. Il tentativo di un libro-viaggio da portare sempre nello zaino come compagno di insostituibili e ordinarie avventure nello “straordinario” di una città dalle molteplici contraddizioni ma che tutto il mondo invidia. Un volume di interviste agli scrittori, sui loro quartieri e sul loro rapporto con la città, un’antologia di brani di bella scrittura di autori che hanno sentito l’urgenza di dire questi luoghi in letteratura, dei viaggi personali.

Tanti contributi, tante storie, tante narrazioni appassionate: Cristina Ali Farah, Antonella Anedda, Attilio Bertolucci, Luca Canali, Vincenzo Cerami, Roberto Cotroneo, Claudio Damiani, Erri De Luca, Mario Desiati, Lia Levi, Marco Lodoli, Valerio Magrelli, Sandra Petrignani, Sandro Onofri, Antonio Pascale, Tommaso Pincio, Christian Raimo, Carola Susani, Sandro Veronesi.

L’avvicendarsi dei toni – dal confidenziale al giornalistico, dall’autobiografico all’introspettivo – rappresenta l’oscillazione dettata da un procedere per tentativi inseguendo una definizione che non esiste se non nel disargine. Perdersi a Roma è, in ultimo, una non-guida per camminare con chi la racconta e con i nostri stessi sogni, quei sussurri con cui ci intratteniamo spesso, appunto, calcando le strade.

Perdersi a Roma, vivere la città come “Bruce Chatwin”

Perdersi a Roma è, dunque, un andare e un venire continuo, di uno sguardo in movimento e di un’analisi della stasi colta in un momento e un luogo speciali solo per un’avventura dell’anima.

Sfogliano le pagine del volume, come camminando con le parole, possiamo leggere: “Camminiamo distratti. Passeggiamo svagati nelle città. E flânerie è il nome bello per tanta inconcludenza spazio-temporale. Un piede dietro l’altro e senza meta. Non sappiamo dove ci porterà il nostro scombussolato orientamento, andiamo.

Una situazione animosa dell’andare che finisce per colonizzare spesso anche la letteratura. Talvolta si tratta di un fulcro che illumina i passi urbani: accade per esempio così in Baudelaire. E ha poi epigoni in autori di viaggi trasversali tra capacità di osservazione e di comprensione come John Berger, per citare un’affiliazione meno diretta.

Più spesso, ritroviamo strade come un interlocutorio riempimento del testo maggiore, di una trama finalizzata a un’uscita in romanzi più orchestrati. Forse Virgilio avrebbe chiamato anche queste parti di testo tibicines, versi incompleti destinati a sostenere la parte più sentita e senziente dell’opera. Rimango da sempre affascinato da questi puntelli svagati e vaganti del testo. Il protagonista cammina e lo scrittore ce ne restituisce i passi. Leggiamo una trama, avvinti dal plot, e poi rimaniamo incantati a immaginare lo sfondo del suo andare.

Il punto della questione sta altrove, lo sappiamo, eppure ci concentriamo su un fondale e siamo lì a chiederci se sia di cartapesta o meno. A mente proviamo a rifare gli stessi percorsi per scoprirli congrui. Se quelle righe non ci vengono restituite come una parte in qualche modo significativa (essenziale) del libro, noi comunque siamo lì a chiederci se si no o no casuali, giustapposte. Un po’ come accade nelle sequenze di un film. Dove è stato girato? Sono gli esterni che riconosciamo?”.

Il muoversi tipico del camminatore vero

È il muoversi tipico del viaggiatore, dell’escursionista, di chi tradisce le premesse turistiche e ritorna alla radice del suo abitare i luoghi. Del camminatore autentico. In mezzo c’è una città per visitatori laterali. Conosco bene questa esperienza di profonda catarsi, io che attravero quotidianamente Roma a piedi, senza l’utilizzo di automobili private e di mezzi pubblici. In compagnia del mio inseparabile zaino e della sua sposa fedele, una borraccia rossa che rappresenta la ricchezza profonda del camminatore, Vado a piedi, mi prendo i miei tempi.

Quello che segue sono occhi sulla città. Punti di vista su quello che la normalità nasconde. Quello che segue, in un certo senso, è il racconto di chi ci soggiorna, ci è nato, in definitiva ci vive. Se “Camminare è una rivoluzione” come scriveva Adriano Labbucci, Perdersi a Roma è un invito alla rivoluzione, a quel cammino che ha fatto per secoli da veicolo principe a “portatori sani di luce”. “Bisogna imboccare traverse, spiare nei cortili, lasciarsi prendere per mano dalla curiosità. Carvelli scrive bene, è vivace, colto, appassionato, semplice” ha detto dell’autore Marco Lodoli sulle colonne di Repubblica.

Un volume costantemente aggiornato

Dal lavoro che ha portato alla realizzazione del volume è il sito www.perdersiaroma.it che ne costituisce in qualche modo un aggiornamento continuo oltre che un’ennesima espressione di un modo di raccontare i luoghi, non solo romani, dalla prospettiva di una curiosità senza confini.

Ma è anche un percorso capace di andare al di là della semplicità per cogliere di Roma i suoi segreti, quelli meno diffusi, e certi momenti. Pensiamo al tramonto o a silenzi e atmosfere indimenticabili. Come quando Papa Francesco in solitudine fece la benedizione Urbi et Orbi nel 2020 segnato dalla pandemia in una piazza deserta che ancora oggi è un groppo in gola. Roma è anche questa, perdersi a Roma è anche memoria vissuta.

O, come scriveva Pasolini, “Stupenda e misera città che mi hai fatto fare esperienza di quella vita ignota: fino a farmi scoprire ciò che, in ognuno, era il mondo”.

Ecco, questo libro ci consegna alla magia del quotidiano dove l’ineffabile diventa “fruibile” perché capace di svelarsi ad ogni angolo. Soprattutto se si hanno occhi vividi per andare oltre ogni Velo di Maya, squarciando la tessitura delle illusioni per consegnarci ad una realtà che, talvolta complessa, finisce sempre per essere struggente. Roma, la più bella signora del mondo. Nonostante le sue debolezze.

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