Un progetto coordinato dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) che punta alla protezione di coste e suoli
Un silenzioso “movimento tellurico,” che, da qui al 2100, potrebbe finire per allagare una superficie pari a circa 5,5 milioni di campi di calcio. Un rischio per le pianure costiere, i delta fluviali, le lagune e le aree di bonifica. Zone umide preziose per la loro biodiversità, spesso anche altamente popolate e industrializzate, ecosistemi produttivi strettamente legati all’attività umana.
Allo stesso tempo però sono aree particolarmente esposte ai mutamenti degli ambienti costieri per via dei cambiamenti climatici e del relativo innalzamento del livello del mare. Oltre alle conseguenze dell’emergenza climatica in atto, però, entrano in gioco anche processi geologici che favoriscono la compattazione del suolo, rendendo queste pianure altamente subsidenti, facendole quindi sprofondare anche di centimetri all’anno.
Savemedcoasts, il progetto per evitare i “disastri”
Il progetto Savemedcoasts, acronimo di “Sea Level Rise Scenarios Along the Mediterranean Coasts”, coordinato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), studia come prevenire i disastri naturali causati dagli effetti combinati dell’innalzamento del livello del mare e dalla subsidenza nelle principali zone costiere esposte della regione mediterranea. Savemedcoasts elabora scenari di rischio che tengono conto degli effetti di amplificazione di mareggiate, tsunami ed erosione costiera, supportando le parti interessate e rispondendo alle esigenze delle popolazioni locali, per far fronte ai potenziali effetti previsti dell’innalzamento del livello del mare nei prossimi anni.
Mappe digitali ad alta risoluzione, misurazioni dei tassi di subsidenza da dati geodetici da terra e dallo spazio, integrate con proiezioni di innalzamento del livello del mare basate sui dati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), vengono utilizzate per valutare gli scenari di allagamento marino attesi per il 2100. Il progetto dedica un’attenzione specifica alla comunicazione scientifica e del rischio per le scuole, attraverso campagne di comunicazione, seminari e un sito web con spazi dedicati ai ragazzi.
Savemedcoasts, dove?
Savemedcoasts, finanziato dalla Commissione Europea e DG ECHO, capitalizza i risultati di altri progetti come Savemedcoasts-2, KnowRISK (Conosci la tua città, Riduci il rischio sismico attraverso elementi non strutturali) e Tsumaps-NEAM, sui maremoti. Il progetto svolge le sue attività in aree selezionate lungo le coste del Mediterraneo con i casi studio del delta del fiume Ebro in Spagna, la laguna di Venezia in Italia, la pianura di Chalastra in Grecia e l’area di bonifica del Basento, di nuovo in Italia, dove vengono implementati scenari e comunicazione del rischio. Le aree di studio del progetto includono anche il delta del fiume Rodano, in Francia e la città di Alessandria, nel delta del fiume Nilo, in Egitto.
Marco Anzidei, ricercatore INGV, spiega
Quali strategie di fronte all’innalzamento dei mari?
Altra soluzione “è lasciar fare al mare, alla natura, ed arretrare”, segnala il ricercatore, “oppure sopraelevare gli edifici: in Florida o in Louisiana molte case sono costruite su palafitte e in caso di allagamento o di tempesta permettono di salvare gli abitanti, ma a volte, come è accaduto, vengono ugualmente distrutte perche l’energia rilasciata dagli uragani è maggiore che in passato”, sempre a causa dei mutamenti climatici. In Italia a preoccupare “non c’è solo Venezia, c’è anche la costa romagnola, oltre al Basento e alle isole Eolie, zone dove la subsidenza è particolarmente attiva per cause naturali, come l’attività tettonica e vulcanica, oppure per questioni legate all’attività estrattiva di idrocarburi da parte dell’uomo che causa subsidenza a livello locale”, prosegue Marco Anzidei. Insomma un pericolo reale in atto che non va sottovalutato. “L’innalzamento del livello marino causa impatti sulle coste e può far più danni economici e sociali dei terremoti. Un terremoto colpisce un’area di limitata estensione, come quello del 2016 in Centro Italia che ha danneggiato tanti piccoli centri con la perdita di vite umane, cosa che negli anni 2000 non dovrebbe accadere ma le coste sono molto più estese di un’area come quella colpita dal sisma del 2016. Pensate di moltiplicare un simile effetto distruttivo in maniera più lenta ma su migliaia e migliaia di chilometri di coste globali. Il danno atteso, se il cambiamento climatico non verrà rallentato, è estremamente più elevato e dobbiamo prepararci”. I progetti Savemedcoasts “sono di preparazione, perché guardano in avanti, per qualcosa che non accadrà improvvisamente l’anno prossimo, ma nei prossimi decenni, entro la fine del secolo. La comunità scientifica internazionale è d’accordo nel ritenere che con grande probabilità si verificheranno queste variazioni”, conclude Anzidei. La speranza dunque “è che i decisori politici ascoltino la scienza, come è accaduto ora durante la pandemia”. Leggi anche
Cosa si può fare per far fronte all’innalzamento dei mari? Certamente, la prima cosa da fare è frenare il mutamento climatico, ma serve anche altro, perché intanto gli effetti dell’emergenza climatica sono in atto. “Quello dell’adattamento e del contrasto è un problema molto discusso, misure come erigere un muro a difesa delle coste ha costi altissimi e forti impatti ambientali”, rileva Anzidei. “Gli olandesi sono molto bravi nelle misure di adattamento, perché abituati a convivere con i problemi della subsidenza e della vicinanza del mare, per cui hanno realizzato dighe molto efficienti per proteggere le zone interne che oggi si trovano sotto il livello del mare”.Un pericolo da non sottovalutare