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Petrolio, l’incidente in Israele è sintomo di un ecosistema in difficoltà

Foto di ATDSPHOTO da Pixabay

Petrolio, lo sversamento in Israele pone una questione sempre più impellente: il problema dei combustibili fossili che fanno male al clima e inquinano i mari di tutto il mondo. Il WWF: nel Mediterraneo il 15% del traffico marittimo globale

La recente fuoriuscita di petrolio in Israele causata dal passaggio di una petroliera sembra aver inquinato 170 km di spiagge e scogliere, tra cui una riserva naturale. Uccelli, tartarughe marine e pesci continuano ad affiorare imbrattati di catrame, e il petrolio sversato è stato probabilmente la causa della morte di una balenottera comune la cui carcassa è stata rinvenuta a riva nei giorni scorsi.

Questo sversamento di petrolio, come ricordato dal WWF, impatterà gravemente e a lungo termine un ecosistema delicato e già soggetto a forti pressioni come quello Mediterraneo, e ci ricorda la necessità di proteggere il Mare Nostrum, uno dei mari economicamente più importanti al mondo: genera infatti un valore economico annuo stimato di 450 miliardi di dollari proveniente dalle attività e dalle risorse legate al mare (si veda al report WWF Reviving the Economy of the Mediterranean Sea).

Economia che dipende dalla salute della biodiversità

Tale economia dipende però dalla salute della biodiversità e degli ecosistemi marini, che sono minacciati dal cambiamento climatico e da una crescita insostenibile: si prevede infatti che alcune attività antropiche, come l’estrazione di petrolio e gas e il traffico nautico, si espandano ulteriormente nei prossimi anni.

Il Mediterraneo ospita già circa il 15% del traffico marittimo globale, che si prevede aumenterà del 4% all’anno. La maggiore capacità del Canale di Suez ha raddoppiato il numero di navi da carico che attraversano il Mediterraneo, sempre più rotte si stanno aprendo, con navi sempre più grandi e questo significa sempre maggiori impatti ambientali: inquinamento acustico, collisioni con i mammiferi marini, inquinamento chimico e rischio di sversamenti sempre più alto.

Ripensare il rapporto con il petrolio

È evidente che la Blue Economy del Mediterraneo non abbia possibilità di crescere e prosperare nel lungo termine in un mare sempre più a rischio, e vada ripensata. Fondamentale è ridurre l’impatto del traffico marittimo nel Mediterraneo, per evitare le aree vulnerabili, come le aree marine protette e le riserve naturali, che sono per definizione a maggior rischio di tali impatti, nonché eliminare la dipendenza dal petrolio, responsabile come tutti i combustibili fossili dei cambiamenti climatici.

Ma questo non basta, i paesi del Mediterraneo dovrebbero infatti impegnarsi a proteggere il 30% del Mare nostrum entro il 2030, in linea con un New Deal for Nature and People, per garantire la rigenerazione degli ecosistemi marini e la salute delle attività economiche che da essi dipendono.

Qui le raccomandazioni WWF per un Piano per la Ripresa Blu del Mediterraneo.

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