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“Capitalismo della sorveglianza”, in arrivo altre app

"Capitalismo della sorveglianza", in arrivo altre app
Foto di Pete Linforth da Pixabay

“Capitalismo della sorveglianza”, l’espressione di Shoshana Zuboff quando parla del futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri sottolinea uno stato di fatto?

Noi ci divertiamo? E loro, le app, immagazzinano dati. Nel libro di Gianluigi Paragone, La vita a rate, viene descritto questo stato di fatto, in un passo particolarmente interessante: “La connessione integrata dei supporti tecnologici che ci circondano comporta la “cattura” di ogni singolo momento della nostra giornata. Orecchie invisibili, occhi invisibili, microfono sempre accesi: tutto in teoria è fatto per semplificarci la vita eppure il conto da pagare è salato. Altro che gratis o free”.

Se insomma non c’è niente da vendere, il prodotto in vendita diventiamo noi. Con il nostro consenso. Perché come scrive la professoressa americana: “Nel 2008 due […] professori hanno calcolato che una lettura accettabile di tutte le ‘norme e condizioni’ che ognuno incontra in un anno sarebbe durata 76 giorni lavorativi pieni”.

“Il capitalismo della sorveglianza” agisce sui nostri desideri e sulla nostra emotività tramite la rete. Rendendoci impossibile il più delle volte di verificare le condizioni. Insomma è sacrosanto preoccuparci di chi manipola le nostre informazioni. Giova ricordarlo: la maggior parte dei colossi cinesi che stanno dietro le app fanno riferimento ad un apparato governativo che di certo democratico non è. Come non lo è quello americano. In questo contesto, logico che “eretici” come Julian Assange diventino i mostri da isolare, esponendoli alla gogna, come tanti altri Ezra Pound della ribellione all’usura intellettuale ed economica.

Se pensiamo al giro d’affari che ruota intorno alla tecnologia, capiamo il mondo in cui siamo immersi. Nel 2018 è stato di 642 milioni di dollari e nel 2023, proiezioni alla mano, prima che si scatenìasse la pandemia, si è calcolato un volume d’affari di 160 miliardi con circa un miliardo e mezzo di pezzi venduti. E quindi? Cosa possiamo fare per mettere fuori la testa e respirare un po’ di ebbrezza rivoluzionaria di autentica libertà? Intanto verificare, capire, approfondire, pensarci non una ma dieci volte, e poi scegliere. Tanto siamo controllati comunque.

Se la tecnologia entra con determinazione nelle “Vite degli altri”, il paragone con il film non è casuale, dire di poterne fare a meno, sarebbe un’utopia. Come credere che questo sia ancora il migliore dei mondi possibili. Bisognerebbe fare in modo che il business non si anteponesse alle vite dei clienti, i famosi altri siamo noi.

Ci aiuta a capirlo nel libro Il Filtro, Eli Pariser: “Quando entriamo nella bolla dei filtri, permettiamo alle aziende di scegliere quali alternative possiamo prendere in considerazione. Ci illudiamo di essere i padroni del nostro destino ma la personalizzazione può produrre una sorta di determinismo dell’informazione, nel quale ciò che abbiamo cliccato in passato determina ciò che vedremo in futuro, una storia che è destinata a ripetersi all’infinito. Rischiamo di restare bloccati in una versione statica e sempre più ridotta di noi stessi, una specie di circolo vizioso”.

 

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