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Non c’è più tempo, per il clima. Luca Mercalli ce ne spiega i motivi

Foto di Simon Berger da Pexels

“Non c’è più tempo”. Lo dice chiaramente il climatologo Luca Mercalli nel suo libro dal titolo emblematico e perentorio

Con il celebre climatologo, in questa intervista, abbiamo provato a fare chiarezza sui cambiamenti climatici e su quello che sta avvenendo realmente al nostro pianeta.

Luca Mercalli, Presidente della Società Meteorologica italiana, è anche il curatore scientifico della mostra organizzata da National Geographic, Capire il cambiamento climatico, Cambiamo il nostro Futuro, Experience exhibition.

La rassegna, in programma sino al 26 maggio 2019, è promossa e prodotta dal Museo di Storia Naturale di Milano, Comune di Milano – Cultura, OTM Company e Studeo Group in collaborazione con National Geographic Society. Il tema centrale della mostra è quello del linguaggio universale della fotografia con tecnologie digitali immersive. Lo scopo? Raccontare cause ed effetti del riscaldamento globale, provando a invertire il corso del nostro futuro. Green Planet News ha chiesto a Luca Mercalli di spiegarci davvero lo stato di salute del nostro pianeta.

Non c'è più tempo, per il clima. Luca Mercalli ci dice perché

Professor Mercalli, partiamo dalla mostra

La mostra affronta un tema centrale nella vita di ciascuno di noi, avvertito in modo sempre più forte negli ultimi anni: il cambiamento climatico globale e i suoi effetti sul pianeta. Bisogna capire le cause e gli effetti di tutto questo per riuscire a invertire la rotta e rendere possibile la sopravvivenza del nostro ecosistema. A raccontare tutto questo saranno oltre 300 scatti fotografici realizzati da grandi maestri della fotografia di National Geographic. La fusione dei ghiacci perenni, i fenomeni meteorologici estremi come le ondate di caldo senza precedenti o l’incremento di tempeste e uragani, la difficile sopravvivenza di molte specie animali a causa del cambiamento del loro habitat: sono solo alcuni esempi dei terribili effetti del cambiamento delle temperature globali.

Lei afferma “il riscaldamento globale è già tra noi, non una ipotesi per il futuro ma un fenomeno in atto”: in concreto, come è realmente la situazione? Davvero saremmo sempre di più costretti a dire, come titola un altro suo interessante volume rivolto ai bambini, “Uffa, che caldo”?

La temperatura della Terra è aumentata di oltre un grado Celsius nell’ultimo secolo, il 2018 è stato il quarto anno più caldo della storia a livello globale e il primo anno più caldo in Italia, Francia e Svizzera. Spesso si ricorda il 2003 come l’anno più caldo ma non è così e bisogna fare attenzione. Nel 2003 abbiamo avuto l’estate più calda, nel 2018 l’anno più caldo. Sono due cose differenti. E via proseguendo, la superficie terrestre coperta dai ghiacci perenni cala di circa 400 miliardi di tonnellate ogni anno e il livello del mare aumenta di 3,4 millimetri all’anno. Dal 1992 abbiamo avuto Rio de Janeiro con la Convenzione firmata da quasi tutti i Paesi la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), poi al Protocollo di Kyoto nel 1997 e l’Accordo di Parigi nel 2015 per ridurre le emissioni climalteranti. Eppure gli sforzi della politica negli ultimi 20 anni non sono stati sufficienti e le emissioni di gas serra sono cresciute raggiungendo attualmente la concentrazione di CO2 di circa 410 parti per milione, il valore più elevato degli ultimi tre milioni di anni, noto attraverso i carotaggi dei ghiacci dell’Antartide e dei sedimenti marini. Se non facciamo nulla ora per contenere l’aumento della temperatura entro 2 °C a fine secolo, il riscaldamento potrà oltrepassare i 5°C, con conseguenze gravissime sull’ambiente. Questa situazione era già nota ben 40 anni. Possiamo uscirne, sicuramente migliorare ma occorrono misure “senza precedenti”.

Di quali misure concrete abbiamo più necessità?

Bisogna agire prima di tutto a livello politico. E poi a livello individuale. Molti pensano che sia la Cina, ad esempio, il paese che inquina di più. In realtà è l’America, con un americano che “consuma” quasi come 3 cinesi. Anche l’Australia “riscalda” parecchio. In questa sfida che si gioca per il nostro futuro, ognuno, col proprio stile di vita, può contribuire a svolgere un ruolo importante. Faccio un esempio: in Italia c’è chi fa attenzione al proprio comportamento “ambientale” e c’è chi se ne frega completamente. Ecco, questo è uno squilibrio che non aiuta.In altri paesi, come la Germania, se tutti fanno la differenziata e hanno consapevolezza del ruolo che possono svolgere, beh, i risultati saranno parecchio diversi.

Quali sono gli aspetti più da tenere in conto per quanto riguarda uno stile di vita “a basso impatto ambientale”?

A parte quelli relativi ai trasporti, all’utilizzo delle auto private e dei mezzi pubblici, molto importante è proprio tutto quello che si ricollega ai consumi in casa. Pareti, infissi, materiali che riescono a trattenere il calore, evitando dispersioni, significano meno necessità di tenere accese caldaie e termosifoni a random continuo. E si risparmiano soldi oltre che energia. Anche l’alimentazione svolge un ruolo fondamentale da questo punto di vista. Dobbiamo capire che impatto terribile possono avere abitudini sbagliate come mangiare fragole in inverno che, come molti altri prodotti non di stagione, avranno viaggiato per migliaia di chilometri. Anche il consumo di carne rossa incide moltissimo sull’ambiente. Sia per quanto riguarda gli allevamenti sia per quanto riguarda la produzione dei gas da parte dei bovini.

Dobbiamo puntare, allora, a quella che viene molto spesso definita “decrescita felice”?

Io non parlerei di drecrescita felice, un termine che rischia di non essere capito al meglio, risultando un po’ triste. Parlerei piuttosto di quella che Papa Francesco ha definito nella sua Enciclica con un termine più azzeccato e più reale: sobrietà. Ecco, bisogna tornare ad uno stile di vita più sobrio, per noi stessi e per il bene di tutti.

La mostra è un invito ad agire, un percorso che parte dall’esperienza per arrivare alla consapevolezza. Lei ha dato il suo appoggio all’iniziativa #Fridaysforfuture, lo sciopero globale degli studenti contro il riscaldamento climatico previsto per il prossimo 15 marzo. Servono davvero eventi di questo tipo?

Avendo insegnato per anni, il ruolo della scuola e degli studenti è fondamentale. Iniziative come queste, anche se fosse solo per un giorno, riescono comunque a porre l’accento sul problema, a far riflettere e a sensibilizzare. Pensiamo a Greta Thunberg, la ragazza sedicenne che manifesta per il clima davanti al Parlamento svedese e alla mobilitazione che è nata dai suoi messaggi. Io appoggio lo sciopero in maniera totale perché è un evento che può portare a riflettere sulla necessità di una nuova politica internazionale e su quanto sia importante adottare nuovi stili di vita per abbassare la soglia d’allarme che stiamo vivendo in relazione alla questione climatica. Viviamo in un momento cruciale della storia dell’umanità – l’Antropocene – in cui la presa di coscienza delle popolazioni, la posizione dei governi, la rivoluzione tecnologica delle energie rinnovabili e la scelta etica di consumi più moderati rappresentano l’unica possibilità di invertire una marcia che ci porta verso tempi ostili. Io parteciperò alla marcia di Torino, un momento determinante su scala mondiale per dare priorità assoluta alla soluzione della crisi ambientale se non vogliamo che i nostri giovani siano costretti a vivere in un pianeta ostile.

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