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Strage di elefanti, ancora uccisioni nonostante il Botswana li protegga

Foto di Barbara Fraatz da Pixabay

Un giro criminale che ha ormai raggiunto proporzioni spaventose. I dati sulla popolazione globale degli elefanti sono di quelli che fanno “dis-perare”: stando a quanto riportato da una analisi del 2015, negli ultimi 10 anni abbiamo perso circa un terzo degli elefanti africani. In Tanzania, i bracconieri ne hanno uccisi il 60 per cento in soli 5 anni

I ranger che cercano di fermare questo terribile giro d’affari rischiano la vita tutti i giorni: negli ultimi anni ci sono stati oltre mille “caduti in battaglia”. Ci sono organizzazioni e figure come quella di David Bomben che, dopo aver lavorato in un’agenzia di sicurezza per una multinazionale dei diamanti, ha iniziato a formare unità antibracconaggio, prima in Namibia, e poi in altri paesi. Oggi è presidente dell’Associazione Italiana Esperti d’Africa e istruttore capo della Poaching Prevention Academy, un’organizzazione che in Namibia e in altri paesi africani si occupa di addestrare i ranger contro i cacciatori di frodo.

Nel suo volume Sulla pista degli elefanti (Longanesi, 268 pagine, Euro 16,90) riporta la testimonianza della lotta contro il business illegale del bracconaggio che ha fruttato, negli ultimi 6 anni, un introito tra i 10 e i 12 miliardi di dollari. In Botswana, il paese considerato l’ultimo rifugio sicuro per gli elefanti dove ne vivono circa 130 mila esemplari, i bracconieri ne hanno fatto strage, uccidendone 87.

Ha denunciato questa orribile carneficina, l’associazione Elephants Without Borders, citata dalla Bbc. Il paese africano ha la più grande popolazione di elefanti del mondo e finora non si erano verificate stragi accadute altrove grazie all’approccio senza pietà nei confronti dei bracconieri.

Secondo quanto riportato da un censimento effettuato nel 2015, negli ultimi 10 anni, è stato ucciso un terzo degli elefanti africani. Con situazioni come quella della Tanzania dove il 60% degli elefanti è stato vittima dei bracconieri in cinque anni. Una situazione drammatica nonostante l’ingente sforzo di ranger, volontari e politiche di protezione attuate nei confronti degli animali.

Leggiamo quanto commentato dal Wwf Italia: “La riserva del Delta dell’Okavango dove sarebbero stati avvistati dal cielo i resti degli elefanti uccisi è un vero e proprio santuario per gli ultimi pachidermi africani. In un secolo abbiamo perso più del 90% degli elefanti e quelli che rimangono vanno protetti con assoluta determinazione. Colpisce la notizia che la squadra anti bracconaggio del Botswana sia stata recentemente disarmata, rendendo più difficile fronteggiare veri e propri eserciti di criminali organizzati e armati pesantemente per far strage di elefanti e arricchire il traffico di avorio”.

Come evidenziato dal Wwf, “il bracconaggio uccide circa 20.000 esemplari di elefanti africani a causa del commercio illegale di avorio, alimentato dalla criminalità organizzata globale e incrementato dalla grande domanda proveniente dai paesi asiatici. Solo negli ultimi dieci anni, gli elefanti africani sono diminuiti di oltre il 20%.

La sopravvivenza degli elefanti, insomma, “deve diventare una priorità di tutti i paesi del mondo, di tutti i cittadini, di tutte le persone che credono che il nostro Pianeta, insieme alla vita che custodisce, vada protetto a partire proprio dagli elefanti. Se non ci riusciamo saremo chiamati a renderne conto ai nostri figli. La scomparsa degli elefanti, così come si sta profilando, rappresenta uno dei crimini più ingiusti ed efferati contro gli altri animali, perpetuato dall’uomo”.

L’aumento delle stragi sarebbe legata anche alla crescente presenza cinese in Africa: dalla Cina, infatti, arriva gran parte della domanda di avorio, nonostante Pechino abbia approvato proprio quest’anno una legge che ne vieta vieta il commercio. Un mercato che attrae ancora un “cliente rozzo, superstizioso e ricco”, come titolava il Venerdì di Repubblica qualche tempo fa.

Si legge nel volume di Bomben: “Questa volta siamo arrivati troppo tardi. Il rinoceronte è lì, di fronte a noi, a terra, agonizzante. Il suo corpo massiccio si muove appena. Sul muso, laddove c’era il corno – il suo prezioso corno – ora c’è una ferita sanguinolenta. Per un attimo chiudo gli occhi. Dolore. Tristezza. Rabbia. Cos’avranno usato per strapparglielo via? Mi chiedo. Probabilmente una sega, o forse un panga, il lungo machete dalla lama larga che i bracconieri usano per prendersi quello che è considerato un tesoro”.

In 40 anni è scomparso il 50 per cento degli animali selvatici del nostro pianeta. Tigri, rinoceronti, elefanti, lupi, aquile sono nel mirino dei bracconieri. In Namibia e in Botswana le cose sono migliorate perché si sta cercando di lanciare un messaggio da tempo: un animale selvaggio da vivo porta turismo e lavoro, distribuendo ricchezza.

L’Africa a cui credono in molti è diversa da quella agognata da trafficanti che riforniscono ricchi cafoni e creduloni. L‘Africa di chi difende e lotta per gli animali è un santuario della natura che crea lavoro attraverso un turismo selettivo e di qualità. Dove quelli come Walter Palmer, il “lugubre” personaggio del Minnesota che nel 2015 ha ucciso Cecil, il leone simbolo del parco nazionale Hwange del Zimbabwe, non avranno mai alcuna possibilità di accesso, né alcuna libertà di movimento.

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