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UTAMA, il film sui cambiamenti climatici in Bolivia

UTAMA, il film sui cambiamenti climatici in Bolivia
UTAMA, il film sui cambiamenti climatici in Bolivia

Nei cinema il prossimo 20 ottobre di UTAMA – Le terre dimenticate, uno sguardo inedito e suggestivo tra le terre aspre e remote della Bolivia. Il film è l’opera prima di Alejandro Loayza-Grisi e vede protagonista una famiglia Quechua alle prese con il dramma della siccità, nella spettacolare cornice dell’altopiano sudamericano, a più di 3.500 metri sul livello del mare

UTAMA (che significa la nostra casa), il film diretto dal giovane regista boliviano Alejandro Loayza-Grisi, è ambientato in uno dei territori più esposti e vulnerabili ai cambiamenti climatici sulla Terra e racconta il costo umano di questo cambiamento attraverso la storia dei suoi protagonisti, voci di una coscienza perduta e una saggezza che raramente viene ascoltata.

La pellicola, dopo aver ottenuto il riconoscimento Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival 2022, sarà presentata alla presenza del regista Alejandro Loayza Grisi in anteprima nella sezione Latinoamericana della 15a edizione del Festival del Cinema Spagnolo e Latinoamericano www.CinemaSpagna.org che si terrà dal 6 al 12 ottobre 2022 al Cinema Farnese a Roma.

Il regista Alejandro Loayza Grisi. Photo di Michael Dunn

“Gli ampi paesaggi, le riflessioni e i ritratti che mettono in risalto gli sguardi profondi dei personaggi sono i miei strumenti per raccontare una storia che interroga profondamente le questioni sociali, ambientali e umane in questi tempi di cambiamento ha sottolineato Loayza-Grisi tra i primi registi a portare sul grande schermo il fascino e la crudezza di una terra poco rappresentata, quasi dimenticata, gli altipiano boliviani situati a un’altitudine di 4.200 metri sul livello del mare.

UTAMA, il film

UTAMA, una coproduzione tra Bolivia e Uruguay con La Mayor Cine, è un film che esamina le conseguenze del comportamento umano sull’ambiente. Spiega il cambiamento climatico da un’altra prospettiva. Una storia basata su situazioni realistiche ambientata in un universo molto particolare: la realtà indigena delle campagne latinoamericane. Il legame delle persone del posto con Madre Natura, fortemente condizionato dalle azioni mancate e dall’irresponsabilità dei grandi centri città.

Il tempo sembra scorrere lentamente nella lontana terra incrinata e arida dell’Altiplano boliviano, dove un’anziana coppia quechua di allevatori di lama, Virginio e Sisa, porta avanti un’umile routine. Quando il nipote Clever si presenta alla loro porta, Virginio si accorge subito che è venuto per convincerli a trasferirsi in città. Il fatto che la siccità li abbia lasciati senz’acqua non aiuta la loro causa a restare.

Il respiro pesante di Virginio tradisce la sua capacità di nascondere ciò che lo affligge e l’apparizione di un condor inizia a destare in lui uno strano presagio. Improvvisamente lo scorrere del tempo diventa più che mai prezioso e pone la coppia davanti a un dilemma: resistere nell’attesa delle piogge o seguire le orme di altri quechua e lasciare la loro casa per la città?

Bolivia, un territorio che si sta facendo sempre più inospitale

“Il territorio già ostile sta diventando sempre più inospitale, costringendo le popolazioni autoctone a migrare verso città dove non sanno vivere e dove si parla una lingua che non è la loro. Hanno pochissime opportunità in questo nuovo ambiente, in particolare le persone più anziane. Pertanto molti di loro sono riluttanti a unirsi all’enorme migrazione che negli ultimi anni ha lasciato le campagne boliviane sempre più disabitate.

Sono nato e cresciuto a La Paz, una città che storicamente ha accolto migranti della popolazione Aymara della vicina campagna dell’Altiplano. La nostra città, le nostre convinzioni e i nostri modi di essere sono stati fortemente segnati dalla convivenza tra la cultura spagnola e quella Aymara. Ma nonostante questa storia, pochissimi dei nostri abitanti sono consapevoli che alcune delle prime grandi vittime del cambiamento climatico sono a pochi chilometri di distanza.

Credo che raccontare una storia dal punto di vista di quelle persone a noi molto vicine, che ancora vivono in campagna e affrontano l’agonia di veder scomparire il loro modo di vivere, sia fondamentale per comprendere il costo umano del cambiamento climatico. Ci permette di considerare i danni collaterali del nostro attuale modo di vivere e di ripensare al nostro ruolo di abitanti di La Paz (e di altre città con condizioni simili)” ha aggiunto il regista.

Particolarmente rappresentative le immagini del condor che lo stesso regista spiega in questo modo: Il condor è un animale sacro in Bolivia. È il protettore delle montagne e rappresenta la fonte della vita, poiché il disgelo annuale sulle alture dei monti dà vita alla campagna circostante. È anche associato all’immortalità e al cambio di ciclo per il modo in cui muore. Poco prima di spirare il condor ritorna al suo nido sulle montagne, quasi per celebrare l’inizio di un nuovo ciclo di vita. Tradizionalmente si pensa che sia una morte simbolica e non reale. Ecco perché il condor è così importante per Virginio, che capisce che è tempo di iniziare un nuovo ciclo per sé e per Sisa.

D’altra parte, il condor è in via di estinzione. Questa è una metafora di ciò che sta accadendo in montagna; con il disgelo accelerato, anche il ciclo ambientale è in via di estinzione. Se il condor si estingue non ci sarà un nuovo ciclo, non ci sarà più il protettore delle montagne e non ci sarà più vita in montagna. Sembra apocalittico, ma è la realtà”.

UTAMA è, dunque, un ammonimento. Non far finta di non vedere cosa sta accadendo al clima e di conseguenza al pianeta. ma prenderne atto perché il tempo è qui ed ora.

Foto: per gentile concessione Ufficio stampa Echo.

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