Rapporto ONU su emissioni di metano, secondo Greenpeace: “Il gas è solo greenwashing dell’industria dei combustibili fossili e occorre limitare gli allevamenti industriali”
Il Global Methane Assessment, un rapporto pubblicato qualche giorno fa dall’UNEP e dalla Climate and Clean Air Coalition, sottolinea che tagliare le emissioni di gas metano è ancora più urgente e importante di quanto si pensasse finora per limitare il riscaldamento globale.
Il rapporto sottolinea la necessità di un’azione reale per fermare gli investimenti in ulteriori infrastrutture di gas fossile, la cui espansione è incompatibile con il mantenimento del riscaldamento globale entro la soglia di sicurezza di 1,5°C. Lo studio evidenzia inoltre come la riduzione delle emissioni di metano sia una delle strategie più convenienti per ridurre il riscaldamento globale e come “il settore dei combustibili fossili ha il maggior potenziale di mitigazione mirata entro il 2030”. Il rapporto stima che l’adozione di queste misure aiuterebbe a prevenire 255.000 morti premature e 775.000 visite ospedaliere legate all’asma ogni anno.
“Non ignorare l’elefante in una stanza”
“Se i governi sono seriamente intenzionati ad affrontare l’emergenza climatica non possono continuare a ignorare l’elefante nella stanza. Il gas fossile è composto per oltre l’80% da metano e non può essere trattato come un combustibile di transizione”, commenta Georgia Whitaker, European Lead Campaigner di Greenpeace for a Fossil-Free Revolution. “Il metano, che ha 84 volte più potenziale di riscaldamento globale in un periodo di 20 anni rispetto alla CO2, è la sporca realtà dietro il greenwashing dell’industria dei combustibili fossili. Per affrontare l’emergenza climatica e le crisi sanitarie che l’accompagnano, dobbiamo eliminare gradualmente tutti i sussidi ai combustibili fossili e garantire che le nostre economie si riprendano dalla pandemia di Covid-19 in modo da consentire una transizione energetica sicura, equa e pulita necessaria” conclude Whitaker.
Riscaldamento globale, il ruolo degli allevamenti intensivi
“Mentre grandi riduzioni delle emissioni possono essere ottenute agendo sull’industria dei combustibili fossili, questo rapporto sottolinea anche il grande contributo legato alla produzione di cibo e all’agricoltura al cambiamento climatico” aggiunge Reyes Tirado, Senior Research Scientist, Greenpeace International Research Laboratory, Università di Exeter.
A causa della rapida crescita dell’agricoltura industriale e del consumo eccessivo di carne e latticini, la situazione delle emissioni si è fatta particolarmente “pesante”. Le emissioni di metano del settore zootecnico, per non parlare delle sofferenze degli animali stessi costretti a vivere in situazioni disperate, sono aumentate drammaticamente del 70% dal 1961 a oggi, e si prevede che rappresenteranno una quota crescente delle emissioni future di metano.
Eliana Liotta, giornalista e scrittrice, intervistata recentemente da Green Planet News, nel suo ultimo libro Il cibo che ci salverà (La Nave di Teseo, pp. 256, Euro 18) ha scritto, a proposito degli allevamenti intensivi: “Gli allevamenti intensivi spesso sono vicini alle grandi città, come Milano, e le loro emissioni si sommano agli scarichi delle macchine. Non sarebbe il caso di ripensare al loro numero e alla loro collocazione? Non sarebbe giusto che si utilizzassero tecniche di riduzione dei liquami? Basterebbe inserirli sotto il terreno: la pratica abbasserebbe la dispersione di ammoniaca e quindi la formazione di poleveri sottili fino al 90%”.
Nessuno può negare che oggi mettere mano oggi a interi settori comporti sacrifici in termini di economia e di occupazione ma è necessario trovare un equilibrio tra etica, lavoro e profitti per costruire un mondo realmente “sostenibile” sotto molti punti di vista che non siano quelli di meri interessi di facciata. E ciò comporta, per la salute di se stessi e del pianeta, una ridefinizione delle proprie abitudini alimentari.
“I responsabili politici devono agire per ridurre il numero di animali allevati, stimolare una riduzione del consumo globale di carne del 50% entro il 2050 e avviare una transizione delle pratiche agricole. Questo significa sostenere gli agricoltori che adottano metodi ecologici di coltivazione e di allevamento e produrre solo la quantità di carne e latticini che il Pianeta è in grado di sostenere. Come primo passo, queste misure in ambito agricolo dovrebbero rientrare tra le priorità dei recovery plan legati al Covid-19” conclude Reyes Tirado.
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