Il bosco, bello e salutare, può diventare una specie di dispensa alimentare a cielo aperto. Possibile? Certo che sì, raccogliendo cibo proprio lì e mangiandolo, così come facevano i nostri antenati
Un’attività dunque antica quanto l’umanità, oggi chiamata “foraging”, ovvero cercare e nutrirsi di prodotti selvatici che sono “un’importante risorsa alimentare, a impatto quasi nullo sul pianeta”, dice Valeria Margherita Mosca, grande passione tra cucina e natura che l’ha spinta a creare Wood*ing wild food lab, un laboratorio di ricerca e sperimentazione centrata proprio sul cibo spontaneo e adatto al nutrimento umano”.
Il bosco e il foraging: che coppia!
Ma come “si fa” il foraging? Valeria ci spiega: “Occorre una preparazione adeguata, studiare la botanica, saper riconoscere le piante commestibili da quelle pericolose, le foglie dagli steli e dai frutti. Non è un’attività da improvvisare. Bisogna anche sapere “come” raccogliere per non danneggiare l’ambiente. Non bisogna interferire con l’equilibrio degli ecosistemi, il rispetto è la regola numero uno. Non bisogna buttare quanto raccolto, scegliendo luoghi incontaminati, lontano da terreni industriali , strade, campi, e piante sane che crescono in abbondanza senza rovinare le radici”.
Quali sono le zone migliori per la raccolta?
“Non c’è differenza qualitativa tra un bosco alpino ed uno appenninico, cambia solo il tipo di pianta”.
Tra le erbe edibili, quali sono quelle più facilmente rintracciabili nei nostri territori?
“Molto comune, tanto da trovarsi anche nelle aiuole cittadine, è il tarassaco, come pure la piantaggine, ricchissima di vitamina k, la Rumex acetosa, il Gallium mollugo, i licheni, uno degli alimenti più completi disponibili in natura, da cui è possibile pure ottenere la farina. Numerose le radici come quella di bardana e diversi i tipi di corteccia: si usa quella interna, che si trova in un tronco già tagliato (nel foraging non si distrugge nulla, ndr) e che deve essere preparata, essiccata, macinata in farina e poi mangiata”.
Il buon cibo selvatico che arriva dal bosco
Che apporti danno le piante selvatiche dal punto di vista nutrizionale?
“Il cibo selvatico è molto più nutriente rispetto a quello coltivato che durante le selezioni operate dall’uomo ha perso molte importanti caratteristiche. Le gemme dell’abete rosso, ad esempio, hanno in media otto volte più vitamina C se confrontato ad un limone proveniente dalle coltivazioni”.
Come si mangia e si conserva il prodotto spontaneo?
“Dipende da pianta a pianta e da alimento ad alimento. Alcuni vegetali, una volta puliti, si possono subito mangiare, anche in insalata. Altri possono ad esempio essere consumati dopo un processo di fermentazione, magari attraverso l’utilizzo di acqua e sale: il processo è utile anche per conservarli”.
Il bosco da godere in ogni senso
Tali alimenti si possono pure bere?
“Certo! Ne è un esempio il mio libro “Wild mixology”, pubblicato da Mondadori. Sulla scia di questo testo abbiamo aperto il Wood*ing bar, in zona Isola a Milano , dove serviamo cocktail e bevande realizzate con ingredienti selvatici. Mixologia è l’abilità nel preparare i cocktail”.
Cos’è Wooding wild food lab?
“Un laboratorio di ricerca e sperimentazione sull’utilizzo del cibo selvatico per l’alimentazione e la nutrizione umana. Studiamo, raccogliamo, cataloghiamo, analizziamo, e sperimentiamo vegetali selvatici o parti di essi ritenuti commestibili, il loro utilizzo, l’elaborazione di prodotti, e la loro conservazione. Conoscere la possibilità di utilizzare alimenti di origine spontanea, ci spinge ad approfondire la conoscenza e lo studio del mondo vegetale, delle piante disponibili e del loro uso, avvicinandoci all’etnobotanica e a comprendere il modo complesso con cui il cibo è legato alla nostra esistenza, alla salute del pianeta Terra e dei suoi equilibri”.
Per saperne di più: https://wood-ing.org/
Il foraging nelle scuole
Valeria, si racconta in poche parole? Quali sono i suoi progetti?
“Continuare ad esplorare sempre e in ogni senso, nel mio lavoro come nella vita privata. Ho un’indole avventurosa e dinamica. Mi piace muovermi nei cambiamenti e cercare di perseguire nuovi obbiettivi mentre mi godo questo fantastico viaggio. Uno dei progetti futuri a cui tengo di più è quello della formazione dei bambini, a cui stiamo lavorando da diversi anni, portando il foraging nelle scuole elementari e medie. Insegnare a un bambino a fare foraging equivale ad installare nella sua mente il concetto di un ambiente naturale da utilizzare come risorsa ma nel rispetto più totale, in armonia con esso. Ritengo che questa sia una delle necessità più urgenti e contemporanee”.