Chernobyl, reattore numero 4 della centrale nucleare che si trova a 100 km da Kiev. È il 26 aprile del 1986, la notte in Ucraina a Pripyat, città dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, è iniziata da poco.
L’orologio segna l’1 e 23 minuti. Il boato illumina l’oscurità, le finestre dei palazzoni tutti uguali così caratteristici dell’edilizia comunista si illuminano di luci. I vetri delle finestre hanno i volti di chi cerca di capire cosa sta accadendo.
Chernobyl, il test di sicurezza iniziato il giorno prima culmina nell’esplosione del reattore numero 4. Il più grande incidente mai verificatosi in una centrale nucleare, classificato come catastrofico con il livello 7 e massimo della scala INES dell’IAEA.
Alle 1.23 gli operatori azionano il tasto AZ-5 (Rapid Emergency Defense 5) che esegue il cosiddetto “SCRAM”, cioè l’arresto di emergenza del reattore che inserisce tutte le barre di controllo incluse quelle manuali incautamente estratte in precedenza.
Non è chiaro se l’azione viene eseguita come misura di emergenza, o semplicemente come normale procedura di spegnimento a conclusione dell’esperimento, visto che il reattore doveva essere spento comunque per la manutenzione programmata.
Di solito l’operazione di SCRAM viene ordinata a seguito di un rapido e inatteso aumento di potenza. Anatolij Djatlov, capo ingegnere dell’impianto, scrive: “Prima delle 1:23:39 il sistema di controllo centralizzato […] non registrò alcun cambio dei parametri da poter giustificare lo “SCRAM”. La commissione […] raccogliendo e analizzando una grande quantità di dati, come indicato nel rapporto, non ha determinato il motivo per cui fu ordinato lo SCRAM. Non c’era necessità di cercare il motivo. Il reattore veniva semplicemente spento al termine dell’esperimento”. (Fonte: Wikipedia).
Nell’area vivono 8 milioni di persone, tra cui 2 milioni di bambini. Come viene evidenziato nella fortunata miniserie Tv Chernobyl in onda su LA7 in questi giorni, la gente non riesce a farsi una idea di quanto sia succedendo. Le autorità minimizzano e nascondono. La parata del Primo Maggio non viene cancellata e molte persone si riversano in strada per festeggiare mentre la nube semina i suoi veleni nei cieli d’Europa.
Chernobyl, i “liquidatori”
Il reattore brucerà per 10 giorni rilasciando nell’atmosfera elementi radioattivi che contamineranno tre quarti d’Europa. La Svezia è la prima a lanciare l’allarme. Il 28 aprile gli scienziati segnalano un picco delle radiazioni. Circa 350 mila persone che vivono in un’area di 30 chilometri dall’impianto vengono evacuate. In 600 mila saranno inviati senza alcuna protezione a ripulire e costruire una struttura in cemento sopra il reattore esploso. Sono i “liquidatori”.
Seicentomila cittadini sovietici esposti per anni alla contaminazione, con una “dose media” di radiazioni che nel solo 1986 era di circa 170 millisierverts (nella norma l’esposizione massima ‘accettata’ è di di 20 millisievert/anno, mentre la dose eccezionale arriva al massimo di 100 millisievert/ora).
Come riportato da RAI News in un articolo dello scorso 21 maggio, “In una lettera inviata al comitato centrale del Pcus nell’ottobre del 1986 da un sanatorio della regione di Kharkov, un gruppo di ‘liquidatori’ scriveva: “Il nostro stato di salute non viene controllato da medici esperti di malattie dovute a radiazioni, né sono previsti check-up regolari.
I vestiti con i quali siamo arrivati d’estate non sono adatti alla stagione in arrivo, e la possibilità di comprare normali abiti invernali è praticamente impossibile”, mentre “non sappiamo quali possano essere le conseguenze” di malattie causate dal freddo. Non esistono statistiche affidabili sulla mortalità dei ‘liquidatori’: a quando scrive Sarah Dunne dei National Archives nel presentare alcuni di questi documenti ‘top secret’.
Secondo “uno studio delle Nazioni Unite del 2005, “fino a 4000 decessi possono essere messi in relazione con i liquidatori e gli evacuati”. Diversamente da quello che probabilmente sarebbe accaduto prima, il Comitato centrale del Pcus, in una risoluzione firmata dal medesimo Gorbaciov, ammise che la lettera fosse “testimonianza di un atteggiamento inaccettabilmente spietato e burocratico” nei confronti di chi si era portato sulle spalle la “pulizia” del disastro di Chernobyl. Ma ancora nel 2016, il ministero alla Salute dell’Ucraina ipotizzava che “ogni anno muoiono ancora 20 mila liquidatori in relazione alle malattie connesse con Chernobyl”.
Un reattore nato male
Ci sono diversi documenti tra quelli provenienti dalla corrispondenza del Politburo sovietico, dagli archivi del Kgb e della Cia, che attestano come sul reattore di Chernobyl ci fosse già l’idea che di una progettazione difettosa. Al di là degli errori commessi durante la notte dell’esplosione.
Se guardiamo al resoconto di una riunione del Politburo del 3 luglio 1986 presieduta da Gorbaciov, Boris Shcherbina, vicepresidente del Consiglio dei ministri dell’Urss, evidenzia non solo gli errori commessi ma la pericolosità dei reattori sin dalla loro fase progettuale. Una verità che si abbina perfettamente al caos degli “omissis” e ai tentativi di insabbiamento e di tenere nascosti i fatti nei giorni successivi al disastro.
Chenobyl, oggi?
Oggi l’area compresa entro i 30 km dal luogo dell’incidente alla centrale di Chernobyl è meglio nota come “zona di alienazione”. Si entra solo con appositi permessi ed è vietato viverci. Un’eccezione viene fatta per i numerosi tour turistici organizzati da vari operatori, di un giorno o più giorni, almeno prima della pandemia.
Pensiamo infatti che nel 2019 Chernobyl ha ricevuto un numero record di 100 mila turisti, desiderosi di visitare il luogo della sciagura che ha ispirato l’omonima serie evento di grande successo Sky-Hbo che stiamo vedendo questi giorni su LA7.
Livelli di radiazione in entrata e uscita dal sito vengono misurati sui visitatori. Alcuni di loro indossano anche tute speciali e trasportano apparecchiature di misurazione. Oggi la “zona di alienazione” si è ripopolata di animali.
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